Il mio intervento di ieri, al Lingotto.

Il Lingotto suona sempre due volte.

La ‘lenzuolata’ di Veltroni è di indubbio valore e le cose che propone vanno approfondite e studiate con attenzione. Faccio una proposta, per evitare che siano strumentalizzate dal solito dibattito interno: bisognerebbe fare come nei concorsi, mettere le idee in una busta chiusa, senza apporre l’etichetta, così non si potrà dire che sono le idee di questo o di quello e commentarle solo in ragione della firma che portano, come accade ora.

Lo spirito del Lingotto aleggia, così come la promessa di cambiamento, ma speriamo di non doverne organizzare un altro, di Lingotto, per lanciare ancora il Pd, se non magari da forza finalmente al governo, perché vorrà dire che il Pd lo avremo finalmente realizzato.

E allora pratichiamolo, il cambiamento, non annunciamolo soltanto. Facciamolo perché è vero che c’è un’anomalia italiana, di cui si parla molto oggi, ma l’anomalia dura da anni, diciassette per l’esattezza, anche l’anomalia italiana sta diventando maggiorenne.

Ho sentito parlare di «power to the people», del partito degli elettori. E sono d’accordo, ma possiamo prenderci l’impegno concreto di celebrare le primarie per scegliere i parlamentari, oggi, qui e approvarle nella prossima assemblea nazionale? Il partito degli elettori comporta anche che finalmente spegniamo il caminetto, anche in ragione di questioni ecologiche?

Si parla tanto del modello tedesco per la partecipazione dei lavoratori ai destini e alla direzione delle imprese, forse dovremmo adottare un modello tedesco anche per la partecipazione degli elettori alla direzione del partito.

A Bersani, dobbiamo aprire una riflessione sul Pd nel corso dell'anno, chiedo perché non iniziamo a farlo, il Pd, senza riflettere ancora? Perché anche l’interpretazione secondo la quale è colpa dei media se siamo ‘percepiti’ così, è vera solo fino ad un certo punto e non credo che esista un Pd percepito e un Pd reale e fichissimo che le persone si ostinano a non vedere.

Veltroni ha citato Abramo (che visse fino a 175 anni, speriamo di fare prima), ma ha ragione: perché dobbiamo riunire il popolo democratico.

Veltroni dice che non ci sono più ex-Ds e ex-Margherita. Meno male. Solo che ora ci sono gli ex-Pd, i tanti elettori che non ci hanno votato più dopo il risultato del 2008.

Ripartiamo da loro, sappiamo dove sono, perché abbiamo gli archivi delle primarie e di tante altre consultazioni, che non abbiamo mai utilizzato.

Ripartiamo da chi non ci vota più e da chi non vota più in generale. Gli astensionisti in Italia sfiorano il 40%, come dieci Udc. Due su tre, dicono le ricerche demoscopiche, sono di centrosinistra.

E prendiamoli con gli argomenti della ‘casta’, cercando di essere chiari.

Metà parlamentari a metà prezzo. E le province aboliamole tutte, in un disegno complessivo, non solo quelle delle città metropolitane. E però, gli astenuti, prendiamoli anche con la politica, che arriva sempre dopo, spesso troppo tardi, come è capitato anche a Mirafiori. Che non vede alcune cose drammatiche, che voglio ricordare, la sperequazione dei redditi, l’ingiustizia sociale, i progetti di vita che si fanno sempre più sfuggenti, l’impossibilità di arrivare a quella realizzazione di sé che riguarda gli individui e il Paese intero.

Senza paura, perché se il torero ha paura, il toro se ne accorge. E i familiari, a casa, si preoccupano.

Ci sono questioni centrali da affrontare, perché sarebbe un momento importante per la politica, e invece siamo apparsi, ultimamente, un po’ introversi.

Impegnati soprattutto a discutere di formule e di alleanze, sembriamo il Conte di Sandwich, tragicomico personaggio di Woody Allen, che passò la vita a cercare di capire in che giusto ordine mettere le fette di pane e quelle di tacchino.

Forse dobbiamo chiederci cosa metterci, nel panino, perché il gusto si sente troppo poco. E sembriamo sbilanciati, verso questo o verso quello. E siamo sempre sulla difensiva: piccati, più che piccanti, a dirla tutta.

Ricordandoci che il nostro futuro è nell’Unità, la nostra e quella del Paese. E solo nel futuro, in nuove rappresentazioni e in nuove idee, troveremo l’unità.

Oggi si parla di unità e lo slogan è «Fuori dal Novecento», e allora ho pensato, di tornare all’Ottocento (come qualcun altro forse vuol fare, in un altro senso). Ai giovani di allora.

Nel Risorgimento i trentenni erano le avanguardie. Erano maturi e azzardati, insieme. E colgo l’occasione per ricordare che non sono giovane, che solo nel Pd si è «per sempre giovani» (un ottima campagna per il prossimo tesseramento, se ci si pensa).

Qualcuno in prima fila dice che allora morivano presto. Ha ragione, solo che loro se l’erano giocata.

Ippolito Nievo alternava la penna all’ardimento e alla battaglia, mentre qui la penna serve solo per scrivere i curriculum, nella speranza di avere un amico introdotto, e il conflitto è negato, nella società del conformismo e della famiglia allargata.

A Teano, un garibaldino di oggi, non incontrerebbe nessuno, tale è il senso dello Stato e la cultura delle istituzioni.

Se volesse allestire uno sbarco a Sapri, non troverebbe nessuno che gli finanzi la start up.

A Caprera (una zona un po’ mal frequentata, di questi tempi), in pensione, non ci andrà mai e nessuno ha idea di quale soluzione trovare, in proposito.

Se il giovane garibaldino sente dire, o si cambia l’Italia, o si muore, fa gli scongiuri (perché è più probabile la seconda…).

Se legge su un muro la scritta «Viva Verdi», gli viene in mente la Padania.

Mentre allo sbarco dei Mille, oggi, si risponde con i respingimenti.

Mazzini e i giovani di allora pensavano alla patria in un quadro universale, e noi ci ritroviamo con l’Italietta autarchica e provinciale di un «ghe pensi mi» collettivo, ancora più ridicolo (e pericoloso) nel mondo della globalizzazione.

Non era questa, l'Unità che avevamo in mente, per questo consiglierei ai nostri Cavour, Mazzini e Garibaldi di trovare le sedi di confronto: e di ricordarsi, magari, dei motivi per cui noi stessi ci siamo uniti.

Perché dobbiamo finalmente dare le risposte alle domande che ho passato in rassegna.

Perché l’unità che serve al Paese è anche quella che serve al Pd, in cui ci si confronta, si discute, si accoglie e si include, aprendosi all’esterno. E verso il futuro. Perché è là che la troveremo, l’unità che cerchiamo.

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