Fabio Martini cura oggi per la Stampa un bel pezzo sulle Tre Giornate di Firenze. Spiega chi viene e chi no, ma soprattutto illustra con attenzione le nostre intenzioni.

Ci chiede: vi candiderete? La vostra è una corrente? Che cosa farete dopo?

E noi rispondiamo: ci siamo già candidati e siamo anche stati eletti. Quindi, nessuna candidatura (a che cosa, poi?). La nostra non è una corrente, ma è qualcosa di più simile ad un tea party (rovesciato, s'intende, anche perché a noi serve un buon caffè, molto italiano), a una rete di persone che si riconosce nel Pd, ma che è soprattutto preoccupata di mettersi in relazione con tutti quelli che sono sulla soglia del nostro partito e con coloro che al Pd guardano in tutto il campo progressista, con curiosità ma anche con sempre maggiore disincanto. Nessuna leadership precostituita: a me viene quasi voglia di andare a Firenze sotto mentite spoglie, così me la potrò godere davvero, questa tre giorni.

Una comunità di persone tra la mitica rete e il famoso territorio che voglia lavorare esclusivamente a quello che sarà la Terza Repubblica, senza indugiare sul mefitico dibattito interno, senza parlare di etichette, di leader e di componenti. Si era parlato tempo fa di un partito dei giovani, nel senso degli elettori e non (solo) dei dirigenti: era una provocazione, ma questa componente generazionale c'è, soprattutto se si guarda all'età dell'Italia e del mondo. Che sembra un Paese che ha insieme comportamenti adolescenziali e riflessi senili (sarà per via del premier attualmente in carica?), senza riuscire a maturare scelte consapevoli e innovative.

E cosa succederà dopo lo decideremo a Firenze, alla luce dei risultati, della partecipazione e dell'elaborazione che ne emergerà. Certo è che la stazione Leopolda sarà solo la stazione di partenza. La prossima fermata è l'Italia. In mezzo, c'è molta strada da fare, molti incontri da promuovere, molti libri da leggere nel tragitto, tante stazioni sconosciute da frequentare. Senza gettare dichiarazioni dal finestrino, senza salire e scendere dal treno quando il convoglio è in movimento.

Se una notte d'inverno, insomma, finalmente, finisse. E ci si potesse svegliare, con un buon caffè, in un Paese che vive nel suo tempo e lo sa interpretare. 

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