Mentre Bersani punta sui questionari (a quando l’applausometro?), provo a fare due-ragionamenti-due.
E vi propongo due immagini: ieri mattina ero a Adro, e mi sono apparsi, tra le nuvole padane, i due cerchi concentrici di Bersani. Perché c’era il Pd, che aveva promosso l’iniziativa, e c’era il Popolo Viola, e l’Idv, e Ricca. E anche una bandiera dell’Udc. Tutti insieme. Come se fosse normale. Perché, in fondo, lo è, in questo Paese del tutto spaesato.

Ieri sera ero a Pavia, con il mitico Pep Villani. E si parlava di «vocazione maggioritaria» (troviamo un altro nome, please) e mi è apparsa la soluzione del problema. Perché D’Alema e Veltroni sostengono cose diverse – con cui allietano il dibattito della sinistra italiana da quando andavo alle medie – ma, nei fatti, affermano la stessa cosa.
Do la soluzione, perciò, e passo ad altro (e vado oltre, se si può): è del tutto evidente che ci vuole la «vocazione maggioritaria» proprio per fare la «politica delle alleanze». Seguite questo semplice ragionamento: con un Pd al 20% non si vorrebbe alleare nessuno. Anche perché arrivare al 40% ci indurrebbe ad allearci direttamente con la Lega. O con B. Perché la somma non ci dà quel totale di cui abbiamo bisogno. E un Pd al 20%, culturalmente e politicamente fragile, come quello che nonostante tutto continuiamo a vedere, le alleanze non se le può nemmeno permettere. Perché sarebbe ‘tirato’ da tutte le parti, un Pd così. A destra e a sinistra. Perciò, modestamente, suggerisco che ci vuole l’una e l’altra cosa: un Pd più forte, più riconoscibile e, quindi, più autorevole.E un’alleanza politicamente fondata: Idv e Vendola (che ci copre a sinistra, senza dover più ricorrere a altre sigle e altre bandiere, di cui farei volentieri a meno) completano un quadro che c’è già. Un quadro che dobbiamo solo rendere più responsabile e credibile. Senza dare troppa importanza alle formule, però, perché si fatica ad appassionarsi.
Mi si dirà: c’è la questione Casini (conveniunt rebus nomina saepe suis). Giusto. Due considerazioni empiriche corroborano la tesi di cui sopra: Casini sta valutando una decina di scenari. Andare da solo, andare con Fini, andare con noi e con Fini, andare con noi subito, andare con noi in un secondo momento, con B subito, con B dopo. E via valutando. Questo è il suo campo d’azione. Altrimenti, Casini non esisterebbe. In secondo luogo, Casini è un nostro alleato solo se c’è ancora B. Quando non ci sarà più B, Casini sarà il centro che si allea con la destra. E mi pare un’ovvietà, a meno di pensare che dopo B ci sia un altro B. Ecco, preferirei escluderlo, ove possibile.
Da ultimo, si potrebbe estrarre dalla gerla degli adrenalinici argomenti del Pd la questione del bipolarismo. Faccio solo notare che su questo punto, anche Bersani, che di solito è più vicino a D’Alema, è d’accordo che il bipolarismo non si tocca (e quindi è più vicino a Veltroni). E giustamente, dico io, allo stato attuale: perché B c’è ancora. E Casini e Fini si attrezzano a sostituire lui, per il futuro, per dare al Paese una destra e una sinistra finalmente comprensibili. A questo secondo obiettivo, diamo il nostro contributo. Perché il terzo polo – e viene da rovesciare una celebre espressione di Epicuro – c’è solo quando c’è B. Ove scomparisse lui (e il suo secondo polo, per ora primo, per la verità), il terzo polo sarebbe il centrodestra. Punto.
Da ultimo, è del tutto evidente che per battere B, è meglio che Casini e Fini vadano da soli. Venire con noi è pressoché impossibile, sotto il profilo politico, culturale e ideologico. E anche sotto il profilo elettorale, perché il terzo polo ha senso solo se è terzo (in questo caso l’aggettivo è sostanziale).
Insomma, D’Alema e Veltroni dicono cose molto simili. Quasi uguali. De facto. Possiamo chiudere il dibattito e fare il Pd, ora?

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