tavo leggendo il reportage di Francesco Merlo sulla scuola con il 97% di bambini stranieri a Roma, che si chiama Pisacane, per dire, e stavo pensando che tutto si tiene (e ci terrebbe, se soltanto lo volessimo riconoscere). Poi mi sono imbattuto nello straordinario articolo di Adriano Sofri, oggi, su Repubblica che aggiungo (si parva licet) alle mie piccole (appunto) note del viaggio dell'Unità. Mentre siamo alle prese con la «vita adra» (Luca Telese), vale la pena di leggere e rileggere, con particolare riguardo alla riflessione sull'ingorgo e sulla distinzione, tutt'altro che sottile, tra «terra» e «territorio».
Tutto alla rovescia. L'Italia è sfatta, basta finir di disfare gli italiani. Si intitolarono piazze, anche la più bella, a Trieste, all'Unità d'Italia. Sembrerà almeno un po' buffo correggere in "Piazza Divisione d'Italia". Ma qualcosa bisognerà inventare, perché nel riavvolgere il Risorgimento all'indietro siamo andati lontano. E la celebrazione del prossimo anno sarà una commemorazione. Dice Bossi che il federalismo è cosa fatta. Il federalismo no, e Cattaneo è solo usurpato: ma uno sgretolamento avaro e rancoroso sì, e abbastanza irreversibile. In certe reazioni il sindaco Vassallo ammazzato ad Acciaroli è sembrato affare riservato al già Principato inferiore del Cilento. Perfino l'antica guerra fra cultori del Risorgimento e suoi detrattori in nome delle insorgenze e della conquista coloniale del Sud, benché riesacerbata, va ormai fuori bersaglio. Quella era una storia fratricida dunque anche fraterna. Fratelli d'Italia, anche l'un contro l'altro armati. Carlo Pisacane, biondo e socialista e martire (a Sanza, il lato del Cilento dirimpetto a Pollica) aveva un fratello, Filippo, rimasto, lui, ufficiale borbonico, e fra i due non venne mai meno mai l'affetto reciproco. Si disse che il fratello legittimista fosse designato al comando contro la spedizione di Sapri, e sostituito all'ultimo momento dal re Ferdinando.
Noi facciamo finta di niente. Davanti al paesaggio politico, viene in mente il favoloso ingorgo stradale dei giorni scorsi tra Pechino e la Mongolia, 120 km e 10 mila camion e giorni e notti di coda – chissà, un banale incidente. L'incidente è avvenuto da tanto tempo, tutto è fermo, il carro attrezzi non riesce a passare, Berlusconi è lì, e fino alla sua rimozione politica (quanto al fisico, centoventi di questi anni) niente succede, salvo un triviale baccano di clacson. La politica tutta non può fare a meno di misurarsi con questo affare primario: sgomberare la strada. Ma il traffico riprenderà lungo percorsi già largamente segnati. Nell'attuale non-governo sono due i ministri alla ribalta: Maroni e Tremonti. Uno è della Lega, l'altro pure. All'indomani delle elezioni, sgomberato Berlusconi (o per sgomberarlo), Tremonti sarebbe il candidato più plausibile al governo: uomo forte, ma privo di un partito e un elettorato suo, dunque servo-padrone fino a quando la Lega – la cui voracità vien divorando – non vedesse l'occasione di intestarsi direttamente il governo nazionale.
Arriveremo ai 150 anni dell'Unità così o no? Se è così, diamo una mano a far muovere l'ingorgo – senza bussare al clacson, come si dice a Napoli e si fa dappertutto – ma guardiamo anche un po' più in là. Dal sud al nord d'Italia, ne mandiamo Mille al giorno di ragazzi che "giù" hanno studiato per niente. Per intravvedere una tendenza contraria alla frantumazione egoistica dell'Italia e del sentimento che se ne fanno i suoi cittadini non si può che guardare ai giovani, e all'eventualità che una solidarietà e una confidenza fra loro promuova un giorno in Erasmus, una spedizione comune, diventi più forte del vincolo al proprio territorio e ai propri vecchi capitribù. Il trapasso invalso da parole come terra a una come territorio è del resto illuminante: si può voler bene a una terra, per un territorio si fa la guerra di confine, o una causa di sfratto. 
Noi credevamo, ha intitolato Martone. "Noi": Bellini e Verdi e Rossini, Mazzini che muore sotto falso nome nell'Italia che l'ha chiuso in fortezza, Francesco Hayez e la nazione dipinta, il western italiano dei valloni del Cilento e i suoi briganti ribelli e il sindaco Vassallo ammazzato vilmente ad Acciaroli. Qualcosa da dire, da far vedere, c'è ancora. Qualcosa da credere.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti