Se ne leggono di tutti i colori ma per ora, dell’incontro di Firenze, che insieme a Matteo Renzi intendiamo promuovere, si conoscono solo le date: dal 5 al 7 novembre. Tutto il resto è un rumore lontano.
Ieri ci siamo visti a Palazzo Vecchio, in un clima di lavoro e di grande cordialità. Abbiamo parlato della tre giorni rivoluzionaria, immaginando formule organizzative, modalità di svolgimento e luoghi simbolici dove svolgere gli incontri.
Lo schema è semplice: l’iniziativa è aperta fin d’ora a tutti. E parlerà della nostra generazione, ma non dei giovani politici, bensì dei giovani elettori. E dei loro problemi e delle loro speranze. Non è una questione anagrafica (anche se un po’ lo è, per la verità), ma riguarda l’età di questo Paese e del mondo in cui viviamo.
Parlare dei giovani e parlare ai giovani, per parlare al Paese. Come abbiamo già avuto modo di dire, se vogliamo concederci l’immancabile proverbio, «parlare a nuora (genero) perché suocera (suocero) intenda».
Faremo politica come se fosse una cosa normale, una cosa tra le altre, non quell’esperienza estraniante che molti cittadini non capiscono e non sentono più. Lo faremo con la testimonianze di persone vere, di amministratori consapevoli e seri. E attraverso il contributo di chi vorrà partecipare.
Ci divertiremo seriamente, abbiamo pensato. E, allora, mentre parlavamo, e Matteo ci mostrava le bellezze di quell’antico palazzo, abbiamo visto il simbolo di Cosimo, la tartaruga con la vela. E il festina lente. Una tartaruga in rimonta. Che vola proprio perché ci ha pensato su, prima, e ha approfondito le cose e la natura del viaggio da intraprendere. «Non bisogna avere fretta, non bisogna perdere tempo», diceva Saramago che chissà se conosceva quel motto e quell’impresa, soprattutto.
La tartaruga che veleggia è un simbolo bello, antico e nuovissimo, di un’Italia che deve partire dai suoi ritardi, perché lì ci sono le opportunità. Da quello che non c’è e che invece (e forse) ci sarà. Una metafora che si può anche rovesciare, perché il vento deve portarci verso nuovi lidi, pur muovendo da un Paese lentissimo, praticamente immobile.
Dopo l’intemerata di Matteo, i giornali fiorentini ci chiamano «rottamatori». L’espressione, ovviamente, è sbagliata. Ma se c’è da rottamare le nostre incertezze e le nostre paure, beh, noi ci proveremo. Cercando qualche incentivo da dare ai cittadini, che non aspettano altro.
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