eri, a Milano, un passante, al telefono, chiedeva al suo interlocutore: «ha presente i Promessi Sposi?». Il tono era minaccioso e l'ho trovato irresistibile.
Ora sono in treno, da Milano a Bologna, e sto assistendo alla più classiche delle scene italiche. I Frecciatelefoni sono tutti accesi e tutti parlano, costantemente: i più, mi pare, per ammazzare il tempo (oltre ad ammazzare i vicini, ovviamente). Nella mia porzione di vagone, su otto persone, sei stanno parlando al telefono. C'è un avvocato che sta parlando con un cliente, informando tutti gli astanti delle vicende molto delicate che lo riguardano. Un altro signore a cui cade la linea in continuazione si spazientisce (lui). Una signora è, invece, preoccupata per Sandro e per una questione, delicatissima, che riguarda un orlo (forse parla in codice). Un altro passeggero, posto finestrino, sta parlando di una connection. Boh. Parla piano, oltretutto, per non essere intercettato dai vicini: speriamo non si dia fuoco prima di arrivare in Centrale. Il suo vicino vuole invece cancellare la connection a internet e lo chiede a una signora che sembra non voler capire (pare che il suo computer «si colleghi da solo»: da Bill Gates a Harry Potter). Un signore passa per il corridoio, ripetendo «certo», forse rivolto a tutti i passeggeri. Un altro lo segue e ribadisce: «uh, uh». Alle mie spalle, una telefonata di lavoro. Anzi, due. No, sono cinque.
Nel Paese del telefono, negare le intercettazioni (o renderle problematiche) è come togliere i poliziotti dalle strade. Però, a ripensarci, si potrebbero abolire i telefoni. Almeno in treno: sì al Frecciabavaglio. Alfy, ce l'hai un decreto?

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