Mentre Gianni Cuperlo parla (bene) di unità d’Italia – quella che verrà -, ripenso a quello che avevo già pensato. Che il richiamo all’unità di ieri di Bersani, per cui dobbiamo essere uniti nel Pd, è giusto e doveroso. Però, il suo richiamo all’unità lo impegna al pluralismo, lo costringe ad ‘aprire’ se vuole governare il partito e il centrosinistra, lo obbliga a rappresentare tutte le sensibilità, perché la decisione senza la partecipazione non è possibile. Allo stesso tempo, però, per non sembrare un richiamo ispirato al più banale dei moralismi – un “vogliamoci bene”, insomma – il segretario e il suo partito devono avere il coraggio di costruire l’unità sulle cose da dire e sulle proposte da presentare ai cittadini italiani. L’unità del Pd è un punto di arrivo, non solo un banale punto di partenza. L’unità sulle proposte per il lavoro – che ancora non si è trovata -, l’unità sulle questioni che riguardano la cittadinanza, l’unità della proposta economica, infine, perché il Paese si aspetta questo, soprattutto, da noi. L’unità nostra, interna, assomiglia all’unità d’Italia a cui stiamo pensando: che non è solo la commemorazione del 150°, o una frase fatta, ma rappresenta la necessità di ritrovare un equilibrio tra le sue parti e, insieme, di restituire al nostro Paese una vocazione, una direzione di marcia e, forse, una missione. Lealtà e responsabilità, prima di tutto. Equilibrio e rigore, dall’altra. In una parola sola, una cittadinanza da ripensare, attraverso scelte che non sono più rinviabili (e, per la verità, non lo sono da anni). Lo avevamo detto quando abbiamo lanciato Oltre. Questo è il Paese a cui stiamo pensando.

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