Vado a Barcelona a studiare alcune cose che vi racconterò. Prima di partire, ripasso un episodio. I leghisti avevano invitato il presidente del Parlamento catalano a Milano, all’inizio di dicembre, per farsi raccontare il federalismo fiscale dalla viva voce di uno dei suoi protagonisti. A un certo punto dell’incontro, una consigliera di minoranza ha chiesto come affrontano, in Catalogna, le politiche dell’immigrazione e dell’integrazione. E all’improvviso è sceso il gelo sugli esponenti leghisti. Perché la Catalogna è inclusiva, ha servizi avanzati. E Ernest Benach i Pascual ne ha parlato con orgoglio. Lo stesso con Bossi, a cena, quando Benach ha espresso una personale preferenza per Fini. E Bossi ha spiegato che prima si fa la Padania, poi si dà il diritto di voto agli stranieri. Proprio così.

Da Il Giornale, 2 dicembre 2009:

«Qui i musulmani sbatteranno sempre le corna» profetizza Umberto Bossi, che tra il referendum sui minareti e la visita al presepe del Comune di Milano sembra prendere sul serio il ruolo di difensore dei cristiani assediati dagli infedeli. Novello Calvino [?] lombardo, fonde religione e politica a tavola con il presidente del Parlamento catalano, l’indipendentista di sinistra Ernest Benach in visita all’assemblea regionale lombarda e poi al sindaco di Milano, Letizia Moratti. Ad accoglierlo lunedì sera, in una sala riservata dell’Hotel Gallia, proprio il Senatùr, che durante la cena (portate rigorosamente lombarde) ha discusso con lui di immigrazione e rapporti con l’islam. […] Posizioni non vicinissime, messe a confronto con tanto di traduzione ufficiale. Benach (lo ha raccontato in consiglio regionale) ha tra i ricordi più cari l’emozione di essere entrato in una scuola dove gli alunni erano marocchini e rom e tutti parlavano catalano. Così, addentando l’ossobuco di fronte a Bossi, si lascia andare a un elogio del presidente della Camera italiana: «Mi ha colpito il discorso di Fini sul voto agli immigrati. Noi siamo per la teoria dei diritti e dei doveri». Bossi replica senza timore di causare incidenti diplomatici. […] Ed ecco le tappe dell’integrazione secondo Bossi: «Prima i doveri. Quando la Padania sarà diventata una nazione Stato magari gli daremo il voto anche noi». Magari. In futuro. Oggi l’eroe di Umberto Bossi si chiama Marco d’Aviano. Il frate cappuccino del Seicento, santo per volere di Giovanni Paolo II, annovera tra i tanti meriti spirituali l’aver fermato l’avanzata dei Turchi nella battaglia di Vienna del 1683, combattuta con la spada e con la croce. «Stiamo preparando un film su Marco d’Aviano» racconta Bossi […]. «La cavalleria padana ci salvò dai musulmani, fu un altro Undici Settembre». […]. «Qui i musulmani sbatteranno sempre le corna» insiste Bossi, che nei giorni scorsi era scivolato in una previsione fosca: «Se facessero un referendum in Italia, andrebbe male anche alle chiese». […] Quando arriva in tavola il panettone farcito alla crema zabaione, si accende la battaglia tra nazioni aspiranti autonome su Cristoforo Colombo. Nonostante il navigatore non sia proprio l’esempio dell’eroe indipendentista, Benach si interroga scherzoso: «Era padano o catalano?». Bossi non ha dubbi: «Era un padano ligure». Al servizio della causa cristiana.

Il mio viaggio inizierà dalla statua di Cristoforo Colombo, il padano ligure (sic) che ha aperto la via delle Indie. Già. E sarà l’occasione per affrontare un modello di governo da cui trarre ispirazione per la prossima campagna elettorale. Un mandato esplorativo, dice qualcuno. Proprio così.

P.S.: preciso, per i soliti buontemponi, che mi pago «di persona, personalmente» viaggio e permanenza.

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