Organizzerei il movimento dei pendolari e lo chiamerei i Frecciaviola. Lo so, sono un demagogo, ma sto leggendo Fuori orario di Claudio Gatti (Chiarelettere) e sono sul solito treno: un convoglio che forse dovrei chiamare frecciatreno. Perché tutto, nelle ferrovie italiane, ora, ha il prefisso ‘freccia-‘ (molti sospettano si tratti di un barbatrucco). Il mio è un Frecciabianca che va da Milano a Roma (mi fermo a Pisa, per la cronaca). Un quarto d’ora di ritardo in partenza (un frecciaritardo?). Vagoni gelati (frecciafreddo) e in tutto simili a quelli dei vecchi InterCity (frecciasomiglianza). Anche il tempo di percorrenza lo è (nessun frecciatempo, dunque), mentre il prezzo del biglietto, quello sì che è freccia, altro che. E mi chiedo, mentre scorre la pianura innevata (zannabianca?), se non ci stiano prendendo per i frecciafondelli. Sul serio.

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