Quello che ho cercato di dire oggi alla convenzione regionale del Pd lombardo (praticamente deserta: mancavano purtroppo anche tanti sostenitori di quel "partito strutturato" di cui tanto abbiamo parlato, ma che evidentemente poco pratichiamo). Spero che tutti abbiano superato quel non so che di freddezza nei confronti delle primarie che ho sentito molto spesso risuonare negli interventi di queste settimane. Spero che tutti si rendano conto che non dobbiamo rappresentare gli elementi di divisione, ma le idee che abbiamo e gli interlocutori che tutti dobbiamo trovare (con qualche ‘truppa’ in meno e qualche ‘cittadino’ in più, per capirci). Spero che il ricambio non sia vissuto come una provocazione, perché c’è un’intera generazione di italiani che deve essere coinvolta dalla politica del nostro Paese, dal momento che quasi tutti i protagonisti del congresso nazionale sono stati tutti idoneati prima del 1990, proprio come i musicisti di cui parlava Ichino [che aveva fatto riferimento al fatto che per i Conservatori, nel senso musicale del termine, non sono più banditi concorsi da quella data]: un fatto culturale prima che anagrafico. Spero che tutti si rendano conto che siamo partiti, noi della terza mozione, come i più radicali protagonisti di questo Congresso e ci siamo spesso trovati a illustrare la mozione Gandhi, mentre altri litigavano e i toni si facevano ogni giorno più polemici. Una mozione evangelica, la nostra, che crede più nel Pd che a se stessa. Spero che tutti si rendano conto che il Nord esce indebolito da un Congresso in cui è soprattutto il Sud a pesare [anche senza citare l’articolo drammatico di Curzio Maltese di ieri sul Venerdì di Repubblica]. Dobbiamo essere presenti. Nei luoghi dove accadono le cose. Rivolgerci alle persone, come ha fatto Obama, nel ringraziare per il premio Nobel che ha ricevuto. Una persona, il politico, che si rivolge a tutti e a uno-a-uno, che li rappresenta tutti insieme e singolarmente. Dobbiamo esserci, nei luoghi dove precipita la globalizzazione, dove c’è la crisi, dove ci sono le opportunità e il merito. Dove c’è un po’ di futuro. Le primarie, in Lombardia, hanno un significato particolare, come ha ricordato con estrema chiarezza Vittorio Angiolini. Le elezioni regionali sono alle porte. Noi avevamo chiesto, attraverso Pierfrancesco Majorino, che si facesse una consultazione anche sul candidato a presidente della Regione, lo stesso giorno, il 25 ottobre. Non si può fare, perché non si è voluto, ma ora si devono comunque interpretare le primarie come la prima tappa di questo confronto, come un’occasione per illustrare il nostro progetto, per dare voce alle nostre idee, in un campo che è precedente al dato politico, perché è un fatto prima di tutto (e soprattutto) culturale. Oggi Saramago, sull’Unità così risponde ad una domanda di Pivetta: «Mi permetto solo di ammonire così: non avere fretta, non perdere tempo» [uno slogan perfetto anche per descrivere le vicende del Pd, da due anni a questa parte]. E il ritardo accumulato è già preoccupante. Dobbiamo essere perciò protagonisti noi e far sentire protagonisti i lombardi. Dobbiamo dedicarci a una mobilitazione politica e culturale, su posizioni ambiziose, che è ancora una volta Angiolini a rappresentare con forza e con chiarezza meridiana. Con un richiamo che, prima che alle mozioni, guarda alla Costituzione, che ha ispirato molte delle nostre ultime battaglie in Lombardia, per i diritti civili e quelli materiali degli italiani, per quelli degli stranieri e per una società più giusta per tutti. Usciamo da questo schema da ‘intimi’ (‘intimissimi’ verrebbe da dire, aggiungendo un po’ di glamour a una riunione in cui è difficile essere entusiasti). E ancor prima di lanciare la nostra sfida politica e quella culturale di cui dicevo, dimostriamo, a noi stessi e agli altri, che ci crediamo. Perché, per essere credibili, bisogna crederci, e metterci tutta la passione di cui siamo ancora capaci. E anche qualcosa in più, in una regione come la nostra, dove il divario è tale da richiedere ben più di una taumaturgica politica delle alleanze. Nelle primarie dobbiamo rivolgerci ai cittadini, elaborando (e in qualche modo ‘sperimentando’) la nostra proposta politica per le prossime elezioni. Noi lo faremo con il nostro primario (che ci pareva indicato per il tipo di competizione…), che proprio i cittadini e i nostri elettori vuole rappresentare, dimostrando che è possibile forzare i confini della società politica, renderla più inclusiva, più vicina, più comprensibile. Un candidato come i suoi elettori, un messaggio forte, che supera in un colpo solo tutte le distinzioni tra partito e società civile di cui spesso discutiamo. Il 21 marzo è qui. Non vorrei che il 21 marzo ricominciasse quell’autunno che in Lombardia dura da quindici anni. Un autunno così poco democratico.

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