Mentre scorrevano le immagini della grande manifestazione di Roma, mi dedicavo alla lettura del libro di Jacques Julliard appena pubblicato in Italia da Marsilio, La regina del mondo. Il potere dell’opinione pubblica. Tra opinione pubblica, individualismo, web, democrazia rappresentativa, Julliard parla della Francia, ma il suo testo è (ovviamente) molto utile anche per noi italiani, alle prese con un sistema dell’informazione del tutto particolare e alla difficile sfida di una politica sempre più mediatizzata e nello stesso tempo incapace di comunicare (e noi, per capirci, questa cosa, la chiameremmo ‘antipolitica’). De Bortoli, nella sua introduzione, così spiega: «Julliard crede, invece (e noi con lui), nella possibilità di governare la democrazia di opinione senza degradare o svilire le istituzioni della rappresentanza. Purché le classi dirigenti capiscano la portata del cambiamento. La politica non è più un’attività separata ed elitaria che guarda la società dall’alto in basso e che si arroga un ruolo educatore delle masse. Non può più essere una casta che parla un linguaggio per iniziati e comincia troppo presto a fare i conti con la storia anziché con le vite normali degli elettori. Una politica che torni ad ascoltare il territorio, a battere i marciapiedi e i bisogni più fondamentali può avere un futuro. Altrimenti la Rete, che è un mezzo che va governato e non subito, la seppellirà. Inesorabilmente». In realtà, la questione è ancora più complessa. Come coniugare la democrazia rappresentativa con un’opinione pubblica che si sviluppa spesso contro di essa? Come confrontarsi con l’anti-politica? Julliard avanza alcune soluzioni, richiamandosi alla sfida per la democrazia partecipativa lanciata da Royal, alla necessità di introdurre alcuni strumenti, come le «primarie» conto i «capibastone» (già), all’importanza di una nuova pratica della «discussione organizzata». A me pare, però, che tutto questo sia solo l’inizio di un percorso. E che la chiave del problema vada ancora trovata.

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