Vi ricordate quella discussione con qualche ambizione culturale sul pantheon del Pd? Ecco, il Pantheon oggi era in sala, era quella sala. I toni della presidenza, gli interventi a favore di Franceschini (e quelli contro, comunque concordati prima), le parole estremamente preoccupate per qualsiasi forma di contestazione (dopo avere espulso milioni di elettori, sembrava quasi che volessero espellere anche i ‘fanatici’ delle primarie) facevano di questo salone della Fiera di Roma un piccolo pantheon o forse, più precisamente, una sorta di cappella di famiglia. Il 16 % dei votanti ha scelto le primarie, senza avere la ‘copertura’ di nessun leader (quelli a favore, da Cacciari a Penati, non c’erano), per dare un segnale di discontinuità. Non ce l’hanno fatta, né la proporzione del voto – significativa, ma non certo imponente – ha consentito di presentare alcuna candidatura diversa da quelle già annunciate (lo dico per chi chiedeva “sangue”: non era la sede per lanciare la sfida, né era semplice individuare una figura che fosse da tutti riconosciuta). Del resto, i pochi giorni che erano stati pensati per il famoso percorso, servivano proprio a questo. Ha vinto il richiamo alla responsabilità ma soprattutto alla continuità. Dario “senza soluzione” Franceschini ha poi detto che farà furore, fuoco e fiamme, che darà voce e spazio al ricambio. Però ha anche detto che si assume tutta la responsabilità di quanto è successo finora (come avrebbe potuto dire altrimenti?). L’impressione è che semplicemente non sia credibile. Né che sia credibile questo Pd. Da domani, cercheremo un nome nuovo: c’è l’impegno a farlo. Lo faremo con sobrietà e modestia, senza pensare a Obama, ma pensando all’Italia. Un paese intero, rimasto sullo sfondo, in questi mesi, in questi giorni e anche oggi. Non se ne rendono conto o forse sì, ma non per fare la cosa giusta. Quella no.

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