I fatti delle ultime ore, da Lampedusa a Guidonia, da Nettuno a decine di episodi minori in altre località del Paese, ci dicono che è necessario che la politica assuma come strategica la questione dell’immigrazione. Non in senso meramente sicuritario, com’è accaduto finora, ma con lo sguardo alla sua dimensione culturale e sociale, in una prospettiva di inclusione, anche per quanto riguarda la partita dei diritti. Sull’immigrazione è venuto il momento che il Partito Democratico (chi altri?) si ponga il problema di far uscire il Paese dai luoghi comuni e dai pregiudizi, nonché da quella prospettiva ossessionata dalla sicurezza che continua a fare il gioco della destra, confondendo non poco la visione e la percezione politica del problema. È paradossale e grave che questo tema si ponga con tanta forza mentre il Parlamento affronta la votazione degli emendamenti al ddl Sicurezza. Tutti sanno, infatti, che la presenza di cittadini stranieri sul territorio nazionale è un fatto ormai strutturale. Che la loro partecipazione al Pil arriva quasi al 10%, che la stragrande maggioranza paga le tasse, lavora onestamente, senza alcuna forma di rappresentanza (dov’è finito il «no taxation without representation»?). Che clandestino in moltissimi casi non significa affatto criminale, ma badante e lavoratore edile. Che la politica italiana non li considera come soggetti, ma come oggetti, con il risultato che, al di là di tante belle (e brutte) parole, chi è straniero trova di fronte a sé una politica spesso vessatoria ed escludente, come capita soprattutto nelle regioni del Nord, dove è tutto un emettere delibere e ordinanze contro le case, i trasporti, l’assistenza e addirittura i bonus bebè agli extracomunitari, e poi i phone center e i kebab, in una perversa difesa delle tradizioni culinarie di cui nessuno ha mai sentito il bisogno. Una politica, insomma, che crea tensioni e divisioni, anziché ricercare quella integrazione che in tanti richiamano senza, in realtà, volerla né cercarla. L’immigrazione è un fatto di natura sociale, sicuramente, ma con profonde ricadute in campo culturale e di grande impatto per quanto riguarda i diritti civili e politici. Per questo credo sia importante arrivare a promuovere, in tempi brevi, una conferenza ‘straniera’, una giornata di riflessione, di dibattito e di proposta a livello nazionale, in previsione della conferenza programmatica di metà aprile. Una presa di parola forte e chiara, attraverso la quale si esprima un approccio costituzionale e perciò responsabile, libero da angosce elettoralistiche. Per iniziare a pensare a un paese diverso, in cui le persone che vengono da fuori siano considerate per quello che sono e siano coinvolte in un patto sociale di un segno nuovo, come nuove sono le condizioni nelle quali si deve affermare.

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