Abito a qualche chilometro da Macherio, la cittadina brianzola dove è stata individuata l’attività del gruppo terroristico islamico intenzionato a compiere attentati nell’area milanese. Un fatto di estrema gravità, rispetto al quale si segnalano già, a livello sia locale che nazionale, le strumentalizzazioni (molto prevedibili) di una certa destra, soprattutto leghista. Ora, il tema è molto importante e delicato. La proposta della Lega – che ha superato la fase dell’urina di maiale à la Calderoli, ma che continua a pronunciarsi in modo molto greve rispetto alla questione – è quella di una moratoria delle moschee nel nostro Paese. Moratoria che di fatto c’è già, dal momento che, come rivelano molti episodi (a cominciare da Bologna), è praticamente impossibile autorizzare l’apertura di nuove moschee, anche per gli amministratori più consapevoli e aperti. Il caso di Milano, poi, è la testimonianza più limpida del degrado culturale in cui questa discussione avviene, con l’incapacità di una grande città del mondo occidentale di regolare una questione che riguarda decine di migliaia di residenti e di cittadini milanesi. Il tema della regolamentazione e dell’intervento delle amministrazioni locali è perciò decisivo, come dimostra lo stesso caso di Macherio, in cui il Comune ha collaborato con la Prefettura e con il Ministero dell’Interno proprio perché le indagini potessero svolgersi. La ricetta leghista è, quindi, da rifiutare. Al Pd, però, non basta un generico richiamo al dialogo e l’appello – doveroso – all’articolo 19 della Costituzione. Serve molto rigore, molta preparazione e un’indagine specifica sui centri islamici. Per costruire la società interculturale, per promuovere i diritti degli ‘altri’, servono rigore e disciplina. È necessario che ci sia un lavoro di studio e, conseguentemente, un’opera di informazione presso gli amministratori e presso la cittadinanza, perché si comprenda che le regole, in questo campo, sono decisive. E si deve aprire un confronto molto chiaro con chi professa la religione islamica, all’insegna di una collaborazione che sappia individuare le frange estremiste che pur ci sono e che non possono essere tollerate, proprio per evitare che siano discriminati i fedeli e i centri islamici che operano nella legalità. Non è un «ma anche», ma una conditio sine qua non. È un lavoro culturale non facile, ma decisivo e non certo rinviabile, se si vuole rendere più consapevole il nostro ceto politico, e interpretare nel modo corretto le paure di una società che si dimostra sempre più impreparata ad affrontare la sfida della globalizzazione e della diversità. È un lavoro difficile, come si suol dire, ma qualcuno se ne deve incaricare, e il Pd può avere un ruolo strategico, per sé, per la crescita della propria proposta politica e per la società italiana nel suo complesso.

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