Un contributo pubblicato su l’Unità. «Yes, we Cem».

Il gioco di parole è fin troppo facile per commentare la notizia del tedesco di origini turche, Cem Özdemir, immigrato di seconda generazione, eletto presidente dei Verdi tedeschi. Come fin troppo facile è il paragone con Barack Obama, a cui tutti si sono immediatamente appassionati. Giovane, brillante, ottimo oratore, Cem ha con il nuovo presidente degli Stati Uniti un’altra, meno nota ma non per questo meno significativa, analogia. Anche lui ha raccontato, giovanissimo, la propria storia di immigrazione. Özdemir è nato nel 1965 (la generazione di  Obama e Zapatero, dunque) e nel 1997 aveva già dato alle stampe la propria autobiografia. Il titolo la dice lunga: sono un indigeno. Sono nato, insomma, in una cittadina del Baden-Württenberg, anche se i miei vengono dalla Turchia: eccomi, a fare il parlamentare per tutti voi. Come se da noi il figlio di un marocchino, nato vicino a Bergamo, diventasse leader di un partito italiano. Certo, la presenza turca in Germania è precedente rispetto ai grandi flussi migratori che hanno interessato il nostro paese. Ma se capitasse qualcosa di analogo in Italia, sarebbe un fatto assolutamente rivoluzionario, se si pensa alla questione, sempre più urgente, della partecipazione degli stranieri alla nostra vita politica (o, quantomeno, amministrativa), alla revisione della cittadinanza, al dibattito intorno allo ius soli, alla possibilità che coloro che risiedono da qualche anno in Italia possano finalmente sentirsi parte della nostra comunità politica e che questa li sappia (e voglia) coinvolgere. Un problema ancora più attuale oggi, se è vero che iniziano ad affacciarsi alla maggiore età i giovani di seconda generazione, di origini extracomunitarie, ma nati e vissuti in Italia. Un leader di origini straniere, qui da noi, indurrebbe tutti ad una maggiore attenzione nei confronti dell’uso delle parole, della costruzione della proposta politica e dell’interpretazione stessa della questione immigrazione: abbatterebbe molti pregiudizi e molte barriere. Chissà che non succeda nei prossimi anni. Nel frattempo, la politica italiana potrebbe occuparsi, con maggiore intensità, di questo tema, perché si creino le condizioni per un paese migliore per tutti: e viene in mente quello slogan, «veniamo da lontano, andiamo lontano», che può funzionare, in un senso diverso, anche ai tempi della globalizzazione. Un paese migliore per noi, e anche per chi viene da fuori. O magari dalla stessa città in cui viviamo, perché sembra così diverso, ma è nato soltanto a qualche isolato di distanza.

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