Mi scrive una lettrice dicendo che sto diventando troppo critico nei confronti del Partito Democratico (parla di criticismo, che mi fa anche piacere, perché mi ricorda Kant…). Forse è vero. Forse sto diventando troppo critico. Forse sono stanco e disilluso. O forse, più semplicemente, è il Pd che si sta allontanando ogni giorno di più da quel modello che tutti avevamo sperato che potesse rappresentare. Forse è il Pd – che a settembre doveva rinascere (sì, ciao) – che non riesce a qualificarsi come forza di opposizione, che stenta ad offrire una propria linea politica, incerto sulla direzione e, a volte, anche sul senso di marcia, diviso (ancora?!) tra D’Alema e Veltroni (vedrete che a Bologna, dopo l’uscita di scena di Cofferati, ci sarà un candidato dalemiano e un candidato veltroniano, bello, no?), burocratico come un ufficio postale, a volte del tutto incomprensibile. Non credo abbiate bisogno di esempi, ma non si può procedere continuamente a strappi, passare dalla letargia all’ipercinesi (dodici campagne nel solo mese di ottobre, un partito enciclopedico), sottovalutare temi di importanza decisiva (leggi: salva manager), mancare d’organizzazione in modo capillare, toppare sempre sul versante della comunicazione. Non sono io a pensarlo: sono quasi tutti, soprattutto i nostri elettori, soprattutto le persone che vivono la politica con sempre più grande disaffezione. Il mio lavoro si riduce a passare il tempo – ieri ad esempio, dalla mattina alla sera – a giustificare il partito. Spero che se ne rendano conto, anche a Roma, anche nelle stanze della politica, sempre più chiuse e impermeabili. L’ennesima campagna del Pd di questi ultimi giorni passa sotto lo slogan: «Così non va». Appunto.

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