Quest’anno ho visitato venticinque feste democratiche. Avrei preferito che – per motivi che mi continuano ad apparire ovvi – si continuassero a chiamare Feste dell’Unità, così ci saremmo risparmiati vari ricorsi all’ex, formule arcane (Festa democratica dell’Unità, Festa dell’Unità democratica e cose del genere), continue e ripetute (e inutili) precisazioni. Mi dicevano: ma no, Pippo, poi i democratici che provengono dalla Margherita come fanno? Se vogliamo costruire un partito nuovo, anche le feste devono essere nuove, accidenti! Già. Infatti, posso dirlo sulla base di dati statistici inequivocabili, il 95% di coloro che organizzano le già-Feste dell’Unità sono gli stessi che organizzavano le Feste dell’Unità. Gli esponenti della Margherita, benché confortati dalla scelta del nome, sono rarissimi, indicati con il dito dai visitatori: «Mamma, quel signore l’anno scorso non c’era… è della Margherita, ti rendi conto?». A parte Brugherio, la Festa più riuscita dal punto di vista politico del 2008, nelle altre lo spettacolo è, da questo punto di vista, disarmante. Soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dei dirigenti politici. Pronti a partecipare ai dibattiti (si precipitano al microfono, come sempre), restii a proporsi in cucina. Allergia alla salamella?

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