Inutile perdersi in tortuosi giri di parole: il libro di Irene Tinagli, Talento da svendere, Einaudi, è semplicemente indispensabile. L’indagine dell’autrice, ricercatrice a Pittsburgh, è equilibrata, accurata ed esaustiva e il libro è ben scritto e assolutamente leggibile anche sotto l’ombrellone di una spiaggia o di ritorno da una passeggiata sulle Dolomiti. Promozione e valorizzazione del talento, mentorship, merito, fuga e attrazione dei cervelli, competitività e qualità del contesto sociale sono le parole chiave del testo. Tinagli dimostra di saper declinare con grande maturità la lezione di Richard Florida: si trova di fronte ad un caso unico, per non dire disperato, e lo affronta con l’acribia della studiosa e con una vena di passione civile che non guasta, nel tempo – devastato e vile – che ci tocca vivere nel nostro Paese. Particolarmente interessante la tematizzazione dell’«importanza dei luoghi», alla ricerca di una «via italiana al talento» che passi attraverso il mondo dell’università e dell’impresa, ma soprattutto attraverso le nostre comunità e le nostre città. Colpisce, leggendo Tinagli, l’importanza del contesto, della motivazione individuale ma soprattutto collettiva che va ritrovata al più presto, per non scivolare ancora più in basso. Non solo nelle statistiche, ma anche nella percezione di sé, che attualmente è molto deprimente per tutti noi. Il libro di Tinagli è un bel manifesto per immaginare una nuova auto-rappresentazione dell’Italia e per affermare la necessità di una sfida – quella del talento e del merito – che interroga direttamente la politica proprio perché la politica, così com’è, non se ne occupa o finge di non vedere il problema. Il motivo è molto semplice: il problema in questione riguarda anche (e forse soprattutto) la politica, i gruppi dirigenti e le élites di un paese senza qualità. Se il Pd vuole proporre letture che ne qualifichino la proposta politica, Tinagli non può mancare.

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