Un giorno in più è l’ultimo libro di Fabio Volo. E’ in testa a tutte le classifiche. Va letteralmente a ruba. Ora, a me Fabio Volo non dispiace, soprattutto come personaggio radiofonico. Concede un po’ troppo al qualunquismo e a quello che potremmo chiamare comunquismo, ma è ‘comunque’ sempre molto piacevole. Sarebbe ingiusto dire, quindi, che i suoi libri sono tutti uguali, ma un po’ lo sono (il migliore rimane il primo, Esco a fare due passi). Sarebbe ingeneroso dire che quest’ultimo libro è troppo lungo, ma ad un certo punto le stesse pagine sembrano assomigliarsi tra loro (e il titolo sembra indicare che ci voglia più tempo del previsto a terminarlo). Infine, sarebbe antipatico dire che non è proprio tutto così profondo come il tono, che Volo pretende maturo, vorrebbe far pensare. La verità è che Volo descrive perfettamente la sua generazione – che è anche la mia – e ne fa parte autorevolmente: e questo è un merito e insieme un problema. Perché tutto sembra così maledettamente evenemenziale («accentua l’importanza dei singoli eventi piuttosto che le strutture durevoli e i processi in cui si determinano», De Mauro) che ci si rischia di perdere, tra la paura delle relazioni, l’impossibilità della vita di coppia, la ricerca di una felicità molto ma molto autocentrata. A ciò si aggiunge l’estetizzazione del personaggio di Volo, che oltre a essere autore dei propri libri, è anche costruttore e affabulatore di un carattere che è impossibile non ricondurre a lui in persona: tutti pensano, in sostanza, che sia proprio Volo il protagonista, in un circolo che a volte sottrae un po’ di spazio all’immaginazione, per il semplice fatto che ne siamo ‘troppo’ informati. Il libro è rappresentativo dello spirito del tempo: da qui il successo e la comprensione universale. Lo consiglio, sia perché è, come sempre, gustoso in molte delle sue parti, sia perché fa riflettere molto più di quanto non possa sembrare.

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