E’ appena uscito in libreria I nostri ponti hanno un’anima, voi no. Lettere ai politici per i tipi di Fazi editore. Tra i destinatari segnalo Roberto Formigoni e la lettera che gli invia Giorgio Falco, in cui si descrive la Lombardia dei pendolari, del respiro affannoso, dell’odio e della paura, dei ‘terroni’ che però governano con i leghisti (e viceversa), delle polveri sottili, della morfologia del territorio ‘unica’ causa dell’inquinamento, dei politici (Haider locali) che parlano di garrota per i gay e si abbandonano ad un razzismo nemmeno troppo velato, all’insegna di una «disfatta ambientale che si è sviluppata parallelamente a quella verbale». «Inizia tra le catene di monti sul bordo della Svizzera dove sorgono i fiumi che scendono a valle e riempiono i laghi lombardi della frustrazione quotidiana di non essere il Canton Ticino, la Carinzia, la Baviera, la Catalogna che pure ha il mare. E poi scende dalla congiunzione carnale delle strette tangenziali da te benedette prima che nascano nuove diramazioni di risorse: a ovest, il confine del Lago Maggiore e del Ticino rinsecchito come un ex pescatore domenicale davanti al posticipo di serie A; a est, il Mincio, il Lago di Garda, i battaglioni dei muratori slavi, fantasmi che dormono in nero oltre la sottile barriera dei vetri appannati, incolonnati da Brescia e Bergamo verso i cantieri di Milano già sull’A4 alle sei di mattina; a sud, Pavia, Lodi, estensioni di verde industriale convertito, le comode villette a mezz’ora dall’epicentro di Milano…»: la lettera inizia così, là dove è finita la Lombardia.

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