L’assessore alla viabilità di Monza che ha tolto i cartelli “Città della pace” che comparivano all’ingresso della città perché discriminavano le città che non li espongono (una delle argomentazioni più assurde di tutti i tempi), spiega che verrà messo al loro posto un cartello in quattro lingue con la scritta «Benvenuti» (l’assessore immediatamente precisa: non in arabo, ci mancherebbe). Si può notare en passant che anche il cartello “Benvenuti” discrimina le altre città che non ce l’hanno: come se a Milano o a Sesto San Giovanni non fossero “benvenuti” i visitatori. Ma il punto, ovviamente, non è questo: il punto è che esiste una rete di città per la pace che è attiva per promuoverla in tutta Italia e in tutto il mondo. Che il mondo è pieno di guerre, che le armi sono ancora un business straordinario e che le cose sembrano solo peggiorare. E che, quindi, l’impegno per la pace della città ha un significato importante, soprattutto se i governi (Berlusconi e il partito dell’assessore sostennero la guerra in Iraq, per fare soltanto un esempio) non se ne curano o se addirittura promuovono la guerra preventiva. In verità, il gesto dell’assessore leghista è molto semplice: si chiama damnatio memoriae, chi vince cioè cancella quelli che ritiene essere i simboli dell’avversario, anche quando questi sono simboli universali. Viene in mente Immanuel Kant e il suo Per la pace perpetua. Il titolo Kant lo mutuò dall’insegna satirica di un’osteria olandese, commentando: «Se questa scritta […] su cui è dipinto un cimitero, valga per gli uomini in generale, o in particolare per i capi di Stato che non riescono mai a saziarsi delle guerre, o se debba invece valere soltanto per i filosofi che hanno quel dolce sogno, questo lo lasciamo da parte». Oggi sappiamo che la scritta non vale per gli assessori leghisti. Benvenuti nella loro città.

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