Chi mi conosce e chi ha finito – per motivi a me inspiegabili – con l’affezionarsi a queste pagine, sa che amo il calcio. E, devo dire, ne sono ricambiato, perché da piccolo sono cresciuto con Platini e, una volta cresciuto, sono ritornato bambino con Del Piero. Entrambi mi hanno fatto sognare, anche se il primo è diventato antipatico con l’età (da giovane, però, era un campione assoluto). Sono uno juventino “del dubbio” e ho vissuto male, ma come una cosa giusta, la retrocessione e la mega-penalizzazione (poi ridimensionata, chissà perché?). Ho trovato necessaria la condanna del ‘sistema’, quest’estate di moda, quest’autunno già dimenticata nel ‘termidoro’ di Matarrese. Ora, leggendo le pagine dei giornali, non posso fare a meno di notare – a parte la vergognosa caduta di stile proprio di Matarrese, stigmatizzata perfettamente da Beha su l’Unità di oggi – una complessiva ipocrisia di tutti e su tutto. Da sempre gli ultras sono sostenuti dalle società e coperti da una strana accondiscendenza del cosiddetto sistema dell’informazione. Da sempre se ne vanno in giro con striscioni razzisti. Da sempre menano le mani. Da sempre, fanno paura. Ricordo un Monza-Torino di qualche anno fa: ero in curva e sono volate botte da orbi. Tanto per ribadire il concetto di “futili motivi”, la partita era ininfluente per la classifica (il Toro era già promosso in serie A e il Monza vinse 2 a 0). Da allora, allo stadio non sono andato quasi più: l’ultima partita è stata Albinoleffe-Juventus, non so se mi spiego. Finché la violenza organizzata non diventerà un ricordo, che chiudano gli stadi. E che si spengano gli uffici stampa delle società di calcio e dei famosi esperti del settore, che assistono da anni, senza voler cambiare alcunché, ad episodi diffusi ed endemici, stupendosene ogni volta, come se fosse la prima.

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