Si fa un gran parlare di larghe, se non addirittura amplissime intese in Regione Lombardia. Tema agostano quant’altri mai, fa il paio con l’inverosimile dibattito nazionale sulla Grosse Koalition, ovvero quella cosa che in italiano si chiamerebbe governissimo, ma fa più cool presentarlo alla tedesca, magari pronunciandolo male. Siccome non vedo somiglianze tra Angela Merkel e Roberto Formigoni, rimango un po’ esterrefatto. Colpisce che dopo cinque anni buttati via a inseguire devolution alla zuava e colpi di teatro da secessionismo sfrenato (la Lega mi risulta essere ancora in maggioranza in Regione, ma magari mi sbaglio), Formigoni scopra il federalismo dell’Ulivo (l’annata era il 2001), citando come in una giaculatoria gli articoli 116 e 119 della Costituzione. Sorprende che dopo mesi di inattività, Formigoni e il fidato Cattaneo spingano sull’acceleratore, spiegando che le opere pubbliche promesse da Berlusconi e quindi – per definizione – senza copertura e senza futuro, si possano fare qui, con i nostri soldi, senza aspettare i finanziamenti romani (e perché, porca miseria, li hanno aspettati, negli anni precedenti, se se ne poteva fare a meno?). Fa sorridere che persone che hanno amministrato la Regione per dieci anni (di cui cinque con governo amico e sostenuto senza se e senza ma), scoprano la necessità di avere rapporti più collaborativi con Roma, da cui si aspettano comprensione e sostegno. Incuriosisce che Formigoni, tornato da Roma con parole di accusa dure e inappellabili contro Prodi e la sua maggioranza, si sia convertito sulla via di Damasco (per lui, più prosaicamente, si è trattato della Brebemi), e sia diventato cortese e disponibile come se prima di allora si fosse semplicemente scherzato (cliccare per credere). Sembra lo schema del mondo alla rovescia. E invece è il nostro, di mondo. Lo chiamano Lombardia.

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