"Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo" dice Dante, pensando forse alla possibile retrocessione in serie B della Juventus. Sulla soglia, lo stesso Dante ci ricorda che si trova Minosse. Per la precisione: "Stavvi Minòs orribilmente e ringhia". Minosse esamina le colpe all’entrata e indica alle anime il girone a cui sono destinate. E allora viene in mente Moggi. A cui telefonava mezzo mondo, compresi ministri in carica, per questo o per quel favore. "Mettici una buona parola" gli dicevano e lui, "gran conoscitor delle peccata", con grande generosità, se ne faceva carico. Le anime belle andavano "ciascuna al suo giudizio", pare, in un ristorante in cui Moggi invitava tutti alle 2 e si presentava soltanto alle 4, sedendosi in un tavolino defilato: ci sembra di vederle lì, le anime bisognose, tra un grissino torinese e un quarto di vino. "Dicono e odono" dice Dante, mentre Luciano riflette. L’immagine ci ricorda un po’ un guaritore, un po’ – per forza di paradosso – un giudice supremo, un plenipotenziario, che un po’ millanta, un po’ no, in un vero e proprio trionfo di quello che certa Italia è per davvero, quella delle raccomandazioni, del "conosco io uno che sistema le cose", del concorso che si passa grazie al cugino, della scorciatoia per arrivare lì dove ci si metterebbe tanto tempo. L’Italia del settore pubblico, ma anche di quello privato, dall’università all’ufficio tecnico, dall’ambulatorio all’ufficio postale, dove c’è sempre "un amico degli amici" pronto ad intervenire.

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