Michele Ainis, Vita e morte di una Costituzione. Una storia italiana, appena uscito per i tipi di Laterza. Si parla delle ultime, tristi puntate della storia della Costituzione italiana: la devolution, su cui ci esprimeremo il 25 giugno. Si ricorda la “costituente” di Lorenzago, in cui un notaio abruzzese, un dentista bergamasco, un avvocato siciliano e un professore salernitano chiamato cavillo, tra qualche strimpellata al pianoforte e molti grappini, un’abbuffata di polenta integrale e di formaggio di malga, hanno riscritto il testo più importante. I risultati sono noti e Ainis li ricorda con buona sintesi: «un capo dello Stato con le unghie spuntate», che «perde il potere di filtro sui disegni di legge del governo, ma soprattutto perde l’autorità di decretare la morte della legislatura». «Un presidente del Consiglio trasformato in un ducetto a termine, che le Camere possono licenziare soltanto col suo accordo». L’incredibile pasticcio delle competenze tra Camera e Senato delle Regioni, e l’impossibilità di gestione di quest’ultimo. L’impossibilità di capire chi si occuperà di cosa, tra Stato e Regioni (l’esempio di Ainis riguarda la scuola). Ma è anche bello scoprire che nel nuovo testo, votato dalla Casa delle libertà, appaiono «periodi sgrammaticati o salti di punteggiatura» oppure «inutili pleonasmi» e «slalom linguistici del tipo disegnato all’art. 120, in cui la legge statale viene chiamata a dettare principi alle Regioni affinché esse rispettino una serie di principi». O, infine, «frasi involute e cacofoniche come quella che campeggia all’art. 64, dove s’afferma che i Consigli regionali esprimono… l’espressione del parere». Proprio così: esprimono l’espressione. Di disagio, verso una modifica costituzionale che ha dell’assurdo e del pericoloso.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti