Come già il libro di Arduino e Lipperini dello scorso anno, il lavoro di Marta Fana per Laterza è quello che una volta si sarebbe chiamato un «testo base» imprescindibile per la prossima campagna elettorale e soprattutto per la prossima stagione politica.

Lavoretti, contractor, on demand, tutte parole e espressioni che hanno spostato più in giù la soglia della dignità delle persone e che hanno trasfigurato i diritti in concessioni, occasioni, offerte. E i lavoratori s’offrono, appunto.

Una ritirata della consapevolezza e della cultura del lavoro che ha portato con sé la sua qualità e le sue garanzie: Fana descrive questa discesa agli inferi, una discesa collettiva, per molti inconsapevole, per quasi tutti naturale e necessaria, soprattutto per chi ha governato il paese, dopo avere preso i voti di chi chiedeva la riduzione della precarietà e un’inversione di rotta, ma che non ha saputo uscire dall’«emergenza» della legislatura precedente se non peggiorando le cose, a partire dalle condizioni dei lavoratori e dalla precarietà, tutt’altro che limitata dai provvedimenti del governo.

Com’è tradizione, è stato facile scendere all’Averno: la crisi non ha portato all’emersione delle disparità e delle disuguaglianze, ma a un loro peggioramento. Ha cancellato le garanzie residue, senza invertire un processo già avviato di polverizzazione dei diritti. Non ha portato all’individuazione delle responsabilità, né si sono affermate prospettive diverse, nemmeno da parte di chi si era candidato a farlo. E chi ha provocato la crisi, l’ha anche gestita e governata, con gli stessi strumenti culturali e di potere.

Fana chiede uno riscatto: invita a rimettere le cose a posto, senza contrapporre i lavoratori in ragione della loro nazionalità, perché la guerra tra poveri è strumento necessario al disegno di chi intende diminuire ancora la soglia di sopportazione dei lavoratori.

«Non è lavoro, è sfruttamento» rovescia alcuni tormentoni e i comodi luoghi comuni di chi scarica sui giovani «svogliati» le scelte delle classi dirigenti, che non rappresentano altro che interessi superiori, applicando modelli che impoveriscono le persone e in prospettiva impoveriscono il paese.

Nelle conclusioni si parla di progressività e di salario minimo legale, anche, cogliendo nel segno. Se vogliamo parlare di ripresa, riprendiamo a pagare le persone, a trattarle con giustizia, a affermare l’urgenza (per tutti) della giusta retribuzione e della giusta causa di licenziamento.

Mortificare i lavoratori significa moltiplicare i poveri e abbassare il tasso di fiducia nella Repubblica: non ci sorprendiamo poi se gli esclusi si escludano dal voto e non rispettino le istituzioni. Sono le istituzioni a doverli rispettare, per prime.

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