Oggi su l'Espresso Luigi Zingales, noto estremista di sinistra, ragiona molto ma molto criticamente sul Ttip.

Lo definisce «un trattato per le multinazionali».

Segnala che nessun candidato alle elezioni presidenziali americane ne è più così convinto (anche Clinton si è molto smarcata), che il trattato incontra molte resistenze in Europa, a cominciare dalla stessa Germania.

Cita il caso della svedese Vattenfall e alla sua causa contro il governo tedesco in relazione alla decisione – che avversa – che ha portato alla chiusura delle centrali nucleari, segnalando che con i meccanismi previsti dal Ttip «avrebbe vita facile» nel risolvere a proprio favore la controversia.

Zingales dice una cosa importante, in cui mi riconosco perfettamente: «in ballo non c'è tanto il libero scambio, ma il concetto di sovranità nazionale. A volte questa sovranità è abusata o serve a difendere i privilegi di pochi. Ma non per questo la soluzione migliore è una totale rinuncia».

L'analisi di Zingales si spinge più in là, notando la sperequazione che si creerebbe tra grandi gruppi multinazionali e le piccole e medie imprese e denunciando la totale mancanza di trasparenza circa le modalità con cui il Ttip è stato impostato e è in via di elaborazione.

In tempi di «post democrazia» (termine coniato 16 anni fa, per dire), una simile discussione e quella ad essa parallela dell'elusione fiscale internazionale (e multinazionale) costituiscono un doppio-panino (parafrasando) al quale è collegata la possibilità di esercitare ancora la sovranità dei cittadini e la possibilità che la democrazia si prenda cura di loro con le risorse necessarie. Se decidiamo di lasciar correre, in presenza anche di una rivoluzione tecnologica che spingerà sempre più in quella direzione, perderemo definitivamente la battaglia dell'uguaglianza e il senso di comunità, che ci piace pensare largo e non chiuso in se stesso, ma di cui vorremmo vedere ancora traccia nella politica del presente e del futuro. 

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