I punti del mio intervento di sabato, per Qualcosa di nuovo e Prossima Italia, all’insegna della ormai tradizionale mozione Saramago (
«Non bisogna avere fretta, non si deve perdere tempo»).

Il mio punto di vista è, in sintesi, il seguente:

Non chiedere il Congresso, finora per altro interpretato come tema da dibattito sui giornali, ma farlo.


Chiamiamolo “Congresso tecnico”, se preferite. Ma affrontiamo le questioni che riguardano il partito e le sue forme. I suoi limiti e le sue incertezze, per assicurarci di arrivare pronti al 2013.

Non limitarsi a chiedere le primarie per i parlamentari, come abbiamo ripetutamente fatto, ma candidarsi e candidare le figure più rappresentative della propria comunità.

Non chiedere posti, ma pretendere che siano rispettate le norme dello Statuto. E che quindi il campo sia finalmente aperto e contendibile. Anche Kohl, a un certo punto, ha smesso. E aveva unito le due Germanie, non i Ds e la Margherita.

Non continuare a preoccuparsi che si crei una lista civica nazionale d’eccellenza nei paraggi del Pd, ma fare in modo che sia il Pd a presentarla, quella lista dall’alto valore politico e civico e dall’alta professionalità. Altrimenti quella lista si farà, fuori dal Pd. E per certi versi contro di esso.

Grandi conflitti sui giornali si traducono puntualmente, e platealmente, in una tregua sempiterna, inerte e opportunistica. A noi conviene «tenere altro viaggio», come una volta disse Virgilio, assistente del segretario, in un momento particolarmente delicato.

«A te convien tenere altro viaggio»,- Rispuose poi che lagrimar mi vide,- «Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio».

Non seguire le indicazioni per Vasto, o Macerata, che poi sembra un dibattito tutto adriatico (quelli del Tirreno che sono, dei poveretti, non ce l’hanno un modello anche loro?). Non vivere burocraticamente questo passaggio, che è invece denso di motivi culturali e politici nel senso più alto.

Ripartire da una coalizione di iniziativa popolare, che metta al centro le cose a cui teniamo, che vogliamo fare, che ci riempiono testa e cuore.
Un progetto che parte dal basso ma che punta in alto. Non solo la rassegna delle cose buone (e belle!), ma anche la loro interpretazione, elaborazione e trasformazione in un progetto politico.

Non solo pensiero, non solo teoria o peggio alchimia, ma pratica politica. Ora e in futuro, perché ogni punto, ogni uovo, per riprendere l’immagine che abbiamo adottato, è una campagna da fare. E con cui dare profilo alla nostra proposta politica.

Basta con i politicismi, con la traduzione di tutte le lingue in un esperanto democratico, un sirenese alla Capossela o, forse, il balenese di Nemo. Non un partito condominio, che ognuno c’ha il suo piano, come ha spiegato Francesco a Casoria, ieri. Ma un ascensore che muova le idee e la società nelle due direzioni.

Non riusciamo a pensare a niente di nuovo, torniamo sempre sui nostri passi. Alle categorie del passato, come se fossimo ancora nel momento in cui si fondavano i Ds e la Margherita, e l’Ulivo e la Bolognina. Ci manca solo che qualcuno tiri fuori la foto di Yalta (altro che Vasto), ed è fatta.

Siamo alle solite, e siamo anche ai soliti.

Non abbiamo risposte puntuali – l’articolo 18 si chiama così perché il Pd ne offre 18 valutazioni – ma la cosa più grave è che spesso non siamo capaci di formulare le domande corrette.

Siamo, insomma, in una parola, antipolitici. Sì. Non andiamo dalla Fiom perché ci sono i No Tav, non rispondiamo agli indignati perché dicono cose che non appartengono al nostro codice, politicizziamo tutto senza fare politica, senza riconoscere la politica fatta in altri modi, che non siano il nostro.

Ecco perché vogliamo rovesciare tutto. Perché vogliamo parlare dei rapporti tra il Pd e la società civilissima, la forma partito, le regole, la trasparenza, quel Paese immaginario di Lusitania e il binario di Harry Potter che fa accedere, chissà come, alle fondazioni. Ecco il Congresso tecnico. Ecco il primo progetto.

Noi cerchiamo quelli bravi, anche se poi c’è il rischio che ci freghino il posto. Noi andiamo a scoprire non solo le buone pratiche, ma i processi politici che risolverebbero molte discussioni interpretate solo nei termini del posizionamento parlamentare, interno ed esterno. Ecco la ricerca dell’uovo. E delle politiche che funzionano. E delle soluzioni.

Una ricerca delle cose migliori, delle migliori politiche e delle più alte competenze.

«Bisogna andare a cercare le migliori e i migliori di quella generazione dimenticata, alla quale ormai tanti anni fa era stato promesso – ricordate? – un nuovo miracolo italiano, e affidare loro l’incarico di far nascere una nuova imprenditoria piccolissima e di massa, perché solo loro potranno creare posti di lavoro veri e duraturi».

Lo scrive Edoardo Nesi (Le nostre vite senza ieri, p. 125).

Ecco il nostro secondo progetto. Quello di costruire così il progetto elettorale del 2013, partendo da ciò che c’è di buono e di bello, e da ciò che la politica non riesce a vedere, né pensare.

Un passaggio che non può in nessun modo essere disgiunto da quello di far scegliere ai cittadini i loro rappresentanti, che è la nostra terza sfida.

Anche questo lo svilupperemo all’interno del partito, chiedendo a tutte le persone libere di aprire le proprie reti, e di fare il contrario delle correnti, perché di correnti non riusciamo a tenerne il conto.

Lo chiediamo a chi sta sulla soglia del Pd, a chi fa politica fuori dalle istituzioni.

Lo chiediamo gli indecisi, che poi decidono, a cui chiedere cosa pensano, dopo avere finito gli insulti nei nostri confronti.

Ecco perché promuoviamo un’indagine sul futuro, il nostro ultimo sforzo progettuale. Per capire che cosa sentono gli italiani, cosa chiedono, e per fare loro decidere, in una seconda fase, come strutturare le nostre battaglie, in uno scambio costante tra politici (perché politici lo sono entrambi, i cittadini e gli elettori).

Non ci sono alternative, se non le alternative. E siamo pronti, per fare tutto, e per metterlo a disposizione dei nostri elettori. Prima che passi un altro treno. Troppo veloce anche per i fautori della Tav. E noi lì, bloccati, a guardarlo passare.

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