Lo avevamo scritto all’atto dell’insediamento del governo Monti e lo ripetiamo: difficile pensare che la manovra possa essere diversa da così e, soprattutto, che le sue voci principali si possano cambiare. So che è brutto dirlo e riconoscerlo, ma tutto questo è consustanziale al governo del Presidente (questo non è un esecutivo tecnico e forse ora è finalmente chiaro a tutti).

Popolino riflette sulle contraddizioni e sui paradossi di questa situazione e c’è poco da aggiungere.

Monti lo aveva detto subito, per altro: i saldi non si possono cambiare, e siccome altre cose non si possono fare, perché una parte del Parlamento non le voterebbe, ci saranno minimi cambiamenti, nelle prossime ore. E ci sarà la fiducia, perché la “manovra Tina” (non ci sono alternative) riguarda tutti noi. E anche le forze politiche. E il governo, per primo.

Altre cose saranno rinviate a gennaio, come è già stato annunciato per la riforma del mercato del lavoro. Altri aspetti – come le frequenze televisive e la vexata quaestio di chi debba pagare l’Ici (volevo dire, l’Imu) – paiono essere passati in secondo piano. Altri ancora – come la patrimoniale monstre di cui si è parlato per molti mesi o una politica più dura contro l’evasione fiscale – del tutto esclusi. Un po’ perché una parte del Parlamento non li voterebbe, un po’ perché non c’è tempo, un po’ perché forse ci vorrebbe un governo politico, che passi attraverso il voto popolare, per fare certe cose. Già.

Ovviamente, come era prevedibilissimo, il partito che soffre di più questa situazione è il Pd. Perché è più responsabile e perché è il primo sostenitore di questo governo (solo l’Udc ha dimostrato analogo entusiasmo, per capirci). E non da oggi, perché il governo tecnico è sempre stato considerato la prospettiva migliore da moltissimi dirigenti del partito, anche prima che ci fosse la famosa emergenza in cui ci ritroviamo dall’estate del 2011. Era la soluzione del problema, per molti. Una panacea per i nostri stessi mali. Un miracolo che avrebbe dischiuso nuovi orizzonti di senso, tutti ovviamente favorevoli al Pd.

C’è un motivo in più, che va ricordato: la manovra andava condizionata di più prima che fosse presentata alle Camere e ai cittadini italiani. Perché il Pd, sorpreso dallo stesso entusiasmo di alcuni dei suoi esponenti più importanti (e più vistosi) che hanno salutato Monti come un “re taumaturgo”, non si è preoccupato a sufficienza delle conseguenze che potevano ricadere sui cittadini e, quindi, anche sugli elettori democratici. Siamo stati troppo eleganti, troppo entusiasti e troppo presi dalle famose questioni interne, come l’appassionante dibattito Fassina-Ichino. Anzi, dei sostenitori dell’uno contro i sostenitori dell’altro. Minchia.

Una domanda sorge insomma spontanea: la famosa equità – che ora tutti dicono mancare – andava presidiata da chi, se non dal Pd?

A me sarebbe piaciuto parlarne prima, ma la possibilità di un confronto in direzione è stata negata. Non c’è più stata una riunione dal mese di settembre. E ora, venerdì, siamo tutti convocati a Roma per un’assemblea nazionale che coinciderà con le feste di Natale e, soprattutto, con il voto di fiducia in Parlamento. L’ordine del giorno? Sarà inviato nelle prossime ore ai millemila delegati. Probabilmente consegnato brevi manu dai Re Magi.

A volte ci si chiede perché il Pd continui a farsi del male. Inizio a temere che anch’essa sia una domanda consustanziale con la sua stessa identità. E che, anche in questo caso, non ci siano alternative.

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