«Guardate bene, sardi. Io guardo e spero. Se si può fare un presidente nero, si può fare anche un presidente vero». Una filastrocca di Bruno Tognolini tiene la scena, in attesa che Soru arrivi, con più di un’ora di ritardo, a causa dell’«autostrada», dice scusandosi. A chi parla già di Soru come dell’Obama italiano, non sarà sfuggita certamente l’analogia, come non sarà passata inosservata la platea di giovanissimi, e il clima e l’entusiasmo che accompagnano il suo ingresso in sala e il suo discorso. Soru si rivolge, da fuorisede ai fuorisede, ricordando i tanti anni passati a Milano, prima di tornare in Sardegna. E sono fuorisede anche le sue due iniziative, quella torinese e quella bolognese, perché Renato Soru ha scelto di passare un giorno della sua campagna elettorale lontano dalla sua isola. Più di cinquecento persone a Bologna non sono uno scherzo. Arrivano da Pavia, Pesaro, Venezia, Rimini e Udine. Il presidente arriva tardi, con un’ora e passa di ritardo, in compenso i dirigenti del Pd bolognese nemmeno si vedono, a parte una lettera di Errani, con gli “in bocca al lupo” del caso. Marcello Fois apre la polemica con il premier, che sarà costante, serrata e documentata in tutto l’intervento di Soru: «Se Berlusconi si dichiara sardo, qualche problema sulla mia identità ce l’ho». Quante più case si hanno in Sardegna, più sardi si diventa. Lui, allora, è il più sardo di tutti. Soru risponde a chi gli chiede di parlare, saltando gli interventi precedenti, dicendo che è interessato ad ascoltare.
Viene introdotto in sardo da Giancarlo Palermo. Non solo il «male minore», né un «viceré»: Soru è un’altra cosa. Finalmente tocca a lui. Soru è emotivo, la voce non è mai ferma, non è impostato, le sue pause alla ricerca della parola giusta fanno riflettere anche chi l’ascolta. Soru ha uno stile, suo, non immediato, ma nemmeno politichese, non piacione, ma nemmeno privo di una sottile ironia, quasi anglosassone. Racconta della sua campagna elettorale, contro il presidente Berlusconi. Anche sulla scheda, dice, i sardi troveranno «Berlusconi presidente», non c’è il nome di Cappellacci. «Arriva in Sardegna come presidente del Consiglio, aerei di Stato, centinaia di forze della polizia, occorre sigillare tombini, chiudere i bar, un mondo di sicurezza, una campagna elettorale che serve solamente per la presidenza della Regione». «Avrebbe dovuto dimettersi, se avesso voluto correre per la presidenza della Regione», si concede Soru. Il presidente uscente argomenta, «lui parla». «Parla un’ora di qualunque cosa, di Kakà, di calcio, delle donne che devono farsi accompagnare dai militari, si produce in barzellette irripetibili, parla per un’ora. Non parla mai di un’idea, di che cosa c’è da fare. Della mia antipatia, parla per un’ora, dicendo che i sardi devono tornare a sorridere. Così si distraggono un pochino, e li può fregare meglio». Su Cappellacci, Soru, come tutti, ha poco da dire. Cita il premier: «Ugo, puoi dire qualcosa anche tu, poco però che dobbiamo andare a pranzare» e alla fine non parla più nemmeno un secondo. Dice bugie, tanto con il lodo Alfano rimarrà impunito. «Barbarie, siamo tornati indietro rispetto anche alla monarchia sabauda». Però, va detto, Berlusconi ha un merito, dice Soru, tagliente: «avere avvelenato goccia dopo goccia le coscienze di tanti italiani. Gli dobbiamo l’idea che oggi bisogna essere disposti a tutto, per vincere. Calunniare. Si può fare tutto. L’importante è vincere». «Che tristezza pensare che a 73 anni una persona possa scegliere di vivere imbrogliando, dicendo bugie, calunniando le persone». Cappellacci sta zitto ed è un invito anche per il futuro: «Stia ben zitto, Cappellacci», non disturbi, non si intrometta. Berlusconi d’altra parte è generico. «È l’Italia che preferisce, l’italia generica, che non entra nel dettaglio, che non chiede spiegazioni». E Soru risponde punto su punto alle accuse di avere fallito che Berlusconi genericamente gli rivolge. «Paghiamo i debiti del passato, da 3 mld a 2,4 e saranno 2,1 alla fine dell’anno, i debiti della Sardegna». «Abbiamo eliminato 24 comunità montane, compresa quella a livello del mare della Gallura. Cancellato società, consorzi, 1000 posti di sottogoverno». «Siamo passati da 740 a 40 automobili, e così abbiamo fatto con cellulari, affitti, anche le spese per le pulizie». Soru ricorda, con grande linearità, che la regione Sardegna costa per il proprio funzionamento il 40% in meno rispetto al 2004. Sarà la prima regione in Italia ad avere, anche nel più piccolo dei paesi, internet a banda larga. E’ la seconda regione d’Italia per uso da parte dei cittadini dei siti istituzionali. Per le operazioni online è la prima. In Sardegna c’è già la firma digitale dal 15 gennaio di quest’anno. L’80% di tutta la carta che arriva viene digitalizzata, nei prossimi mesi arriveremo al 100%. Trasparenza: «Non c’è bisogno di avere amici: i sardi sanno che si partecipa ai bandi senza avere amici, e si entra in graduatoria senza avere amici. E’ una regione «di diritti e di regole, non di amicizie e scorciatoie». La scuola e l’«intelligenza», il merito e la mobilità sociale per Soru sono centrali. Così è per l’ambiente: la Sardegna, senza militari, ha risolto gran parte dei problemi legati allo smaltimento dei rifiuti: in 5 anni è passata dal 5% al 40%, e nel 2013 sarà al 65% (al sesto posto in Italia). Fonti rinnovabili: Kyoto dice 20% nel 2020, la Sardegna nel 2013 sarà già al 40%. Preferisce l’energia rinnovabile al nucleare, quello di Scajola, che arriva e dice che se i sardi vorranno il nucleare, lui non si opporrà (sic). Non è neanche ammessa la possibilità che siano i sardi ad opporsi al nucleare. Cappellacci, in ogni caso, starà zitto. Soru non ci bada e, alla fine, torna sul proprio avversario, quello vero. Berlusconi non sa quello che dice: «interrompe il dibattito, si intromette, ed è come se entrasse nelle nostre case e dicesse: bello quel salotto, ve lo regalo. E così per il televisore». La Sardegna orgogliosa questi regali se li può fare, ma da sola. E non deve aspettare altro, se non se stessa. Un discorso per la propria regione, ma che tutti sanno andrebbe benissimo per tutto il Paese. Da un personaggio politico hors ligne, un fuorisede, appunto, che si sta prendendo tutta la scena della politica italiana.

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