Abbiamo salvato l’Italia (forse), ora salviamo la politica (o, almeno, proviamoci). La versione 2012 del motto di D’Azeglio, è proprio questa.

Perché la politica ora ha completamente finito gli alibi. E la sua «immunità» l’ha rovinata, e l’ha allontanata da molti, quasi tutti.

Se non vorremo essere definitivamente travolti da quella che definiamo «antipolitica», è il caso di rivedere alcune cosette, prima che inizi la campagna elettorale verso le politiche, per intenderci, perché fin dalla campagna elettorale si comprendono molte cose:

Le modalità di retribuzione dei parlamentari, attraverso un regime più rigoroso di gestione delle risorse.

L’introduzione di una autorità indipendente (la Corte dei Conti va benissimo) rispetto alla gestione del rimborso elettorale (per evitare una gestione indebita dello stesso e discutibili investimenti), per evitare la confusione (ora totale) di controllore e controllato (a proposito di conflitto d’interessi, eh).

L’emersione del nero negli staff e nelle segreterie.

Il rispetto del limite dei mandati nelle Regioni (forse ora si capisce che cosa intendevamo dire) e nelle camere elettive.

L’abolizione di liste e listini bloccati, intangibili per gli elettori, e la restituzione ai cittadini della libertà di scegliere i propri rappresentanti: con una riforma elettorale comprensibile e chiara (vero?) e con il ricorso, in ogni caso, alle primarie di collegio per scegliere i parlamentari.

La riduzione del numero dei parlamentari e delle loro indennità, in ragione di una valutazione di opportunità e di buon senso.

Il finanziamento trasparente e puntualmente rendicontato di tutti gli eletti, partiti e singoli candidati. E anche fondazioni «di supporto» agli stessi, mi raccomando.

Il rispetto dei tetti di spesa previsti dalla legge in ogni campagna elettorale, con conseguente rimborso proporzionato alle spese sostenute (all’insegna della famosa «sobrietà», in uscita ma anche in entrata).

Tutte questi punti «si tengono». Ad essi, poi, come consigli utili, aggiungerei:

Cambiare i grandi partiti, perché si possono anche votare quelli piccoli (che spesso sono personalissimi, e si sottraggono a molte delle condizioni precedenti), ma poi di solito sono quelli grandi che governano.

Ridare senso alla proposta programmatica, con obiettivi di grande significato e di straordinario impegno, ma non dimenticare il «come»: chi dice che questi argomenti sono estranei alla grande politica, si sbaglia di grossissimo.

Affrontare il populismo, infine, non con la reazione piccata, ma con l’azione propositiva e limpida. Che sola può togliergli forza e consensi.

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