La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa per le coppie non fertili.

Si tratta certamente di una buona notizia, essendosi finalmente rimosso uno dei profili più odiosi della legge 40 del 2004, che ha reso insensatamente difficile la vita a molte persone.

In realtà non è la prima vota che la Corte costituzionale interviene su questa legge ideologica e arretrata. Lo aveva già fatto con la sentenza n. 151 del 2009, quando aveva dichiarato incostituzionale l’impianto unico e contemporaneo di non più di tre embrioni e conseguentemente aveva previsto la derogabilità al divieto di crioconservazione, lasciando ai medici la valutazione delle modalità da seguire in relazione ai singoli casi.

Tutto questo conferma che quando il Parlamento, magari per ingraziarsi alcuni settori dell’opinione pubblica, sacrifica la tutela delle libertà individuali, la nostra Costituzione sa porre un saldo argine.

Rimane purtroppo il fatto che l’intervento della Corte a difesa dei diritti interviene talvolta – come in questo caso – dopo anni. Anni che pesano – talvolta in modo irreversibile – sulla vita di chi è stato privato di questi diritti. Il Parlamento dovrebbe considerarlo più attentamente.

Non bisogna dimenticare, però, che su questa legge si erano svolti, nel 2005, a poco più di un anno dalla sua approvazione, referendum abrogativi con i quali si chiedeva l’eliminazione degli aspetti più illiberali della legge, che poi sarebbero stati portati, appunto, davanti alla Corte costituzionale, come, tra l’altro, proprio il divieto di fecondazione eterologa. Chi partecipò al referendum votò massicciamente (con percentuali comprese tra il 77% e l’88%) per modifica della legge, anticipando, in taluni casi, le scelte poi compiute dalla Corte.

Ma la Costituzione stabilisce che il referendum è valido solo se ha votato la maggioranza degli aventi diritto e, in quella circostanza, come in altre successive, chi era contrario al cambiamento spinse gli elettori a non partecipare, saldando così la posizione dei contrari con quella degli astenuti cronici, impedendo così che il voto di chi voleva cambiare la legge potesse raggiungere il suo obiettivo.

Questo dovrebbe spingere a rivedere il quorum necessario per la validità dei referendum: non più la maggioranza degli aventi diritto, ma, ad esempio, la maggioranza di coloro che hanno votato alle ultime elezioni per la Camera. Altre soluzioni sono possibili ma una riforma è necessaria. Anche il caso della fecondazione eterologa lo rende evidente.

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