Il premier affida al giornale a lui più vicino una vera e propria scomunica nei confronti del ministro delle infrastrutture. Un attacco violento, durissimo verso le opere (e le omissioni, anche): direi anche un po’ ingeneroso, perché il decreto dello sblocco (inizio a pensare che chiamarli così, i decreti, porti sfiga) se l’erano intestato proprio tutti, da Palazzo Chigi in giù. In ogni caso, colpisce un aspetto: dopo un attacco così, di solito il ministro si dimette. Anzi, forse è fatto proprio per quello, un tipo di scaricabarile (e decreto) del genere. Ma nell’Italia di oggi, funziona così: ti cambiano i decreti, ti prendono a pallonate in pubblico, ti sollevano dall’incarico e dall’incombenza, non ti convocano nemmeno per le riunioni per cui sei stato delegato, ma non ti dimetti mica. E no. Non ci sono alternative. A se stessi, soprattutto.

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