Forse ma forse invece della mitica agenda avremmo bisogno di un ricettario.

Perché leggo e sento dichiarazioni secondo le quali ci sarebbero l’ambientalismo e il pacifismo alla nostra sinistra, alla nostra destra invece ci sarebbero i liberali con cui si può parlare, magari in un secondo tempo.

Come se si trattasse di posizioni da giustapporre e da ‘sintetizzare’ alla fine della campagna elettorale, a seconda del risultato (del Senato, perché alla Camera…), sulla base di un calcolo che ai più appare strumentale. Forse perché strumentale lo è davvero.

Molti invece si aspetterebbero che il Pd fosse capace di presentarsi (e di rappresentarsi) come una forza-di-sinistra-di-governo che sa miscelare gli ingredienti diversi in un’unica soluzione. Anche perché l’ambiente non dovrebbe essere qualcosa che si aggiunge alla fine, ma all’inizio (e riguarda l’economia, e la vita quotidiana delle persone). Così come un’idea di mondo non dovrebbe essere affidata a questa o a quella sensibilità, ma dovrebbe fare parte integrante della nostra idea di quartiere, di regione, di Paese.

E alcune mosse liberali in Italia non possono essere trascurate, soprattutto per quanto riguarda un certo approccio corporativo che sembra riguardare tutto e tutti. E non ce lo deve dire l’Europa, o qualcun altro, che si sente più europeo degli altri. Dovremmo ricordarlo e ricordarcelo sempre, noi per primi.

E non si tratta solo di abbassare più o meno questa o quella tassa, che sembra lo sport nazionale, ma di raccontare l’Italia del futuro, che è fatta di fisco, di ammortizzatori sociali, di energia, di relazioni con l’Europa, di modelli da seguire e di scelte invece da non fare più.

Tempo fa, parlai di una doppia mossa che ci vorrebbe. Più passano i giorni della campagna elettorale, più mi convinco che ci vuole un messaggio chiaro e forte, che non si articoli sulla base del peso di questo o di quello, dunque, ma della ricetta da comporre, sulla base di ingredienti che ormai conosciamo e con il pensiero rivolto al servizio da offrire ai cittadini.

Perché, mentre noi ci attardiamo a parlare di ‘impasto’, quegli altri già impiattano.

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