Pensavo che dopo il dissequestro della nave della Ong Proactiva Open Arms ci sarebbe stato qualche commento da parte della classe politica che guida il Paese o che si candida a farlo.

Perché praticamente tutta la classe dirigente, da Salvini a Minniti passando per Di Maio e i suoi taxi del mare, sono stati d’accordo su un punto: le Ong è bene che stiano alla larga dai migranti, perché ora se ne occupano i libici, da noi finanziati per respingerli. Concetto ribadito anche in queste lunghe settimane di schermaglie per formare un nuovo governo: divisi su tutto, d’accordo sui respingimenti, anche se qualcuno è più spudorato e altri ricorrono a virtuosismi e a giochi di parole. Politichese stretto, adottato però per dire la stessa cosa.

Erano d’accordo sulla Libia e evidentemente lo sono ancora. E se è vero che l’immigrazione ha avuto un ruolo notevole nell’ultima campagna elettorale, è anche vero che le posizioni sono tutt’altro che distanti: in quel breve braccio di mare si sono già sviluppate le larghe intese, fatte di decreti, ordinanze, respingimenti e tutto ciò che accade in Libia, che non si intende nemmeno nominare.

Chi esultava per il sequestro della nave dei buoni-diventati-cattivi, ora chiederà scusa? Risponditore automatico: no.

Immaginare un governo del «dentro tutti», da questo punto di vista, è quasi scontato. In questo caso il «dentro tutti» è riferito ai campi di concentramento in Libia, dove ce li teniamo tutti e se qualcuno vuole passare, sappia che troverà una navetta pronta a riportarlo indietro, pagata con i nostri soldi. E con gli applausi scroscianti dell’Europa, culla della civiltà e, da qualche tempo, tempio della disumanità. E non importa che i porti in Libia non siano sicuri come non lo è il paese che hanno alle spalle. Va bene così. L’importante è che se ne parli il meno possibile.

Oggi Avvenire riporta l’intervista a Vincenzo Morello, medico che soccorre gli «sbarcati» a Pozzallo, in riferimento al tentativo disperato di salvare la vita a Tesfalidet Tesfom, un migrante eritreo poi ribattezzato Segen.

«Ho ribadito la mia domanda, chiedendo se fosse in queste condizioni già nel suo Paese e lui replicava così: ‘No, Libia, Libia’». Chiaro, dunque, che a ridurlo allo stremo erano stati coloro che avrebbero dovuto, per certi versi, aiutarlo a raggiungere l’Italia. Ma i Segen, continua sottolinea Vincenzo Morello, sono a migliaia. «La sensibilità di Segen – prosegue il medico pozzallese – è quella di tutte queste persone sbarcate che lasciano la loro terra per un futuro migliore. Mostrano subito una grande voglia di rapportarsi con gli altri e sono persone in grado di ricevere e dare un forte abbraccio».

«Dentro tutti»: l’80% delle persone che transitano dalla Libia dicono di avere subito violenze, stupri, torture. Saranno sufficienti a formare una maggioranza parlamentare?

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