Nel 2001 la Lega si oppose alla riforma del Titolo V a cui ora si appella (con riferimento all’articolo 116).

Qualche anno dopo, la destra cambia idea per la prima volta e decide che si può partire con il percorso per ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su determinate materie previsto dall’articolo 116, terzo comma.

Nel 2007, il 3 aprile, la maggioranza di Formigoni vota per attivare il processo in base all’articolo 116.

Lo stesso accade in Veneto, il 18 dicembre 2007.

Il governo Prodi è disponibile a confrontarsi, si tiene la prima riunione: a coordinare il lavoro Linda Lanziolltta, allora ministro per gli Affari regionali e le Autonomie locali. Solo che Prodi cade da lì a poco.

Nel 2008 vince nuovamente le elezioni Berlusconi e Maroni e Zaia diventano ministri del suo governo, ministri pesanti, pesantissimi, in rappresentanza delle due regioni del Nord, da sempre feudi della Lega e della destra.

«La Lega ci ha fatto perdere dieci anni», ricorda però Roberto Formigoni: il governo Berlusconi, Bossi, Maroni e Zaia decise infatti di fermare il percorso che muoveva dal 116 per virare sul 119, in nome del federalismo fiscale, affidando la partita a Roberto Calderoli e alle sue improbabili riforme (poi bocciate).

Per celebrare il decimo anniversario di ciò che era stato avviato nel 2007 e fermato l’anno successivo, i ministri di allora, Maroni e Zaia, chiedono ai lombardi di esprimersi su un referendum non necessario, vago e consultivo, spendendo 50 milioni (ma altre stime superano i 60) per non avere fatto ciò che potevano per un intero decennio.

Di questa cavalcata all’indietro di Maroni e Zaia scrive molto bene Enrico Brambilla, esponente del Pd che si era già schierato per il No alla riforma costituzionale e che come noi propone di astenersi da un referendum inutile. E proprio «Il referendum inutile e l’autonomia necessaria» è il titolo del suo libro, appena arrivato in libreria (Novecento editore).

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti