Alessandro Dal Lago, Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra, Raffaello Cortina editore, Milano 2017.

In questi anni ho parlato spesso, scherzando seriamente, di «peronismo della birra», per descrivere molti processi in atto nella politica italiana. Una versione casereccia e spesso alticcia del peronismo originario.

Mi è tornata alla mente l’espressione leggendo il libro di Dal Lago, che aiuta a capire molte cose, perché ci presenta questo peronismo di nuova generazione e le spore che ha disseminato un po’ dappertutto. Più che Perón, un peroncino, tanti peroncini. «Piccoli Perón», dice Dal Lago, che «crescono» soprattutto «in rete».

In formato mignon, anzi, più precisamente, in formato minion. I minion hanno un’unica missione, trovare un capo a cui sottomettersi, da seguire appassionatamente. È la loro ragione di vita. Il capo cambia, di volta in volta, ma deve essere possibilmente cattivissimo e i minion devono diventarne seguaci. Il loro amore è eccessivo e spesso devastante (qui sta l’ironia, ovviamente. I minion italici invece non hanno letto Cipolla: fanno del male soprattutto a se stessi).

Quel peronismo è configurato attraverso vasi comunicanti che attraversano l’oceano e superano le pianure, soprattutto quelle sarcastiche. Non è un caso che Trump e Putin si intendano e piacciano a molti, da Salvini a Di Battista. Vasi comunicanti e spesso capita che questi siano a loro volta seguiti da invasati comunicanti che non si rendono nemmeno conto che con i loro beniamini governano i poteri di chi comanda da sempre, come si è visto per l’amministrazione Trump, molto rappresentativa proprio dei potenti e dei loro círculos (parola peronista) contro i quali ci si scanna sui social.

La tentazione peronista, così la chiama Dal Lago, attraversa anche il fronte che a questi primi peroncini si vuole contrapporre, tra partiti della nazione e macronismi vari, «con armi non troppo diverse», sostiene l’autore.

Spesso si evoca la formula «dal basso» che puntualmente si rovescia nel suo contrario, osserva Dal Lago, e in una politica autoritaria. Processi che non vanno né minimizzati, né esorcizzati, ma compresi nelle loro dinamiche profonde, perché la spinta dal basso può essere non solo un’«illusione», ma una vera e propria «contraffazione», per la quale lo sbandierato protagonismo dei cittadini in verità serve soltanto al protagonismo assoluto del capo. E così la rivendicazione della politica a cui le masse ambiscono si trasforma in una ulteriore tanto quanto inconsapevole cessione di sovranità. Tutto è disintermediato, a favore del capo, però. Altro che «piramide rovesciata»: la piramide del faraone, proprio.

Dal Lago parla senza mezzi termini di para-fascismo costruito intorno a «promesse vendute come soluzioni, propaganda travestita da verità, difficoltà politiche spacciate per risolutezza», in un eterno «ritornello identitario» che muove proprio dal superamento delle dialettiche politiche classiche: destra e sinistra, ma anche fascismo e antifascismo, come si sente ripetere anche nelle aule parlamentari. Un discorso politico per sua natura obliquo, pieno di bassezze e soprattutto tangenziale: nel senso che quasi mai discute “nel merito” ma si litiga solo per affermare il proprio punto di vista e il proprio immaginario, attraverso una indefessa ricorsività, di cui Dal Lago offre, nelle pagine centrali del suo lavoro, esempi notevoli.

Come si fa a far saltare lo schema? Per Dal Lago il confronto si è dimostrato impossibile. Bisogna opporvisi e ricostruire pratiche politiche opposte al rapporto capo-popolo. Che non a caso, aggiungerei, è anche una parola sola. Come l’uomo, al comando, che decide.

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