La stampa egiziana accoglie con parole trionfali la decisione di inviare nuovamente l’ambasciatore italiano: il caso è chiuso, i turisti italiani possono tornare, vittoria politica. Lo scrivono i giornali, lo dichiarano le forze politiche che sostengono Al-Sisi.

Basterebbe questo a definire politicamente disastrosa la decisione del governo italiano. Ma a ciò si aggiunge la tempistica scandalosa, la mestissima comunicazione alla famiglia Regeni avvenuta solo dopo aver preso la decisione, la scelta terribile del ponte di Ferragosto. Un quadro assurdo e vergognoso.

Le ragioni della decisione sono altre: sarebbe fondamentale che il governo lo dicesse. Altro che fascicoli egiziani, ancora da verificare, forse addirittura da tradurre. Il motivo riguarda tutto il resto: Libia, ENI, tutt’altro. Che Gentiloni lo ammetta, che Alfano eviti di prendere in giro la famiglia Regeni e l’intero Paese. Che si dica la verità.

Quanto al caso Regeni, è passato più di un anno e mezzo. E ci sono stati parecchi depistaggi, una collaborazione scarsissima, un elenco infinito di verità di comodo che proprio l’ex-premier aveva respinto con sdegno. Ora noi con sdegno respingiamo la decisione del suo successore, già ministro degli Esteri quando Regeni fu ucciso, dopo disumane torture.

Invece di reagire facendo gli offesi all’articolo del NYT chiediamo a governo USA di confermare, smentire, rendere note le prove di cui si parla. Senza perdere altro tempo. Senza aggiungere offese all’offesa più grande, quella della morte di un ricercatore martoriato per giorni e giorni.

Ne va della dignità dell’Italia. Ne va della questione fondamentale che le nostre istituzioni dovrebbero tutelare, i diritti umani e il rispetto che si deve portare loro.

Tutto il resto fa pena, come la pena che l’Italia porta con sé.

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