Ci sono centinaia di migliaia di nuovi cittadini. Nati in Italia, giunti nel nostro Paese ormai una generazione fa, contribuenti, lavoratori e imprenditori.

La destra ci accusa di guardare a loro come a un bacino politico, culturale e elettorale. Come se fosse un’infamia. E invece dobbiamo coinvolgerli, proprio per le ragioni contrarie, nella vita della Repubblica. All’insegna dei principi della nostra Costituzione.

Per questo Possibile si rivolge, non da ora, a loro, per costruire insieme una società dell’integrazione, per valorizzare chi vuole vivere in un Paese che ha scelto per sé e per i propri cari. Per chi sta pagando il mutuo sulla casa, per chi vuole creare condizioni più avanzate di convivenza e di condivisione, per chi odia qualsiasi forma di intolleranza e di razzismo, per chi ha uno sguardo laico e inclusivo verso gli altri.

Non è solo una questione di diritti – oggetto di infruttuose speculazioni politiche fino ad ora, con qualsiasi governo, ahinoi – è una questione di pratica politica e di orientamento culturale.

Negli ultimi quindici anni siamo passati da 12.267 acquisizioni di cittadinanza alle oltre 200 mila stimate del 2016, per un totale che si avvicina al milione di nuovi italiani. A tutti gli effetti cittadini come noi, persone che hanno scelto il nostro Paese per lavorare e per far crescere i propri figli. Che hanno trovato ospitalità e che alla fine hanno ottenuto la cittadinanza.

«Chi nasce in Italia è italiano» sostenva chi, nel 2013, si candidava sotto il simbolo di Italia Bene Comune. C’è chi si accontenta di una (eventuale, nel momento in cui scrivo) legge approvata dalla Camera – che poi si è incagliata al Senato – che discrimina i bambini sulla base della situazione reddituale dei genitori. Non noi. E c’è anche chi, come il M5s, si allinea alle posizioni della destra, rinviando a una deliberazione in sede europea (?!) il riconoscimento della cittadinanza a chi è nato in Italia.

Per noi sono cittadini italiani alla seconda, o al quadrato, se preferite.
Perché sono nati o cresciuti qui e per questo non possiamo lasciarli (ius) soli ad affrontare la loro condizione giuridica meticcia. Ma anche perché hanno scelto di essere italiani, il che dovrebbe riempirci di orgoglio, non certo di egoistico fastidio.
Italiani alla seconda, anche perché alla prima, con la legge 91 del 1992 il ciak non è venuto granché bene.
L’invito, sin da ora, è quello di approfondire la discussione sabato 15 al PolitiCamp di Reggio Emilia, vi aspettiamo.
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