A chi si dice sorpreso e preoccupato per le larghe intese e i nazareni e i partitidellanazione, segnalo che ci sono già stati e ci sono ancora. E che non si parla della prossima legislatura, ma di quella che sta per concludersi.

Una legislatura che proveniva dalle larghe intese con Monti, che le ha rinnovate in quei giorni convulsi tra i 101 e la conferma di Napolitano e che poi qualcuno, con il consenso di tutti, ha deciso di prolungare: inizialmente si trattava di larghe intese biennali, poi si è deciso di prolungarle in eterno.

Che ora ci siano ministri e parlamentari che si dicono scandalizzati dall’eventualità che proseguano, fa un po’ sorridere e la dice lunga rispetto a ciò che è accaduto in questa legislatura.

Nel 2013 qualcuno dalla Germania ricordò che dalle larghe intese si esce sempre a destra. Altri, come il vostro affezionatissimo, spiegarono che l’abitudine a frequentarsi avrebbe trasformato il sistema politico: il trasformismo, insomma, trasforma chi lo sceglie. Più o meno consapevolmente, sicuramente agli occhi degli elettori.

Si parlava oggi come allora di «pacificazione», addirittura di «fecondazione» reciproca e vicendevole. Ci si felicitava per la nuova e «profonda sintonia» tra schieramenti avversi, si celebrava la fine dell’antiberlusconismo. si gioiva per sistemi elettorali poi dichiarati incostituzionali e ‘riforme’ poi bocciate clamorosamente dai cittadini.

Uomo vitruviano delle larghe intese, l’ex-premier (che se è ex, allo stesso modo delle larghe intese, significa che c’è già stato) rilanciò lo schema di Letta senza Letta, trovò in Alfano un alleato imperituro, in Verdini un regista e in Berlusconi un interlocutore affidabile più di quanto non lo sia stato lui stesso.

Nel frattempo la maggioranza si reggeva sui senatori eletti dal Popolo della libertà, nelle varie componenti culturali degli alfaniani, dei conservatori cattolici, dei cosentiniani, del blocco ciellino, dei moderati d’ogni provenienza. Responsabili, soprattutto se si tratta della responsabilità di stare al governo.

Chi ha fatto il ministro si sarà sicuramente accorto della loro presenza, nei due governi di cui ha fatto parte. Chi è stato parlamentare, ricorderà di avere sostenuto senza fare una piega questo schema. Chi ha seguito, non può sorprendersi.

Prima ancora del sistema elettorale, ci sono precise scelte politiche, a suo tempo rivendicate con orgoglio. E chi le ha contestate, è passato per matto e per velleitario, ostracizzato perché non sapeva stare in società.

Non succede ora, succede da cinque anni, troppo lunghi per far credere che non siano passati già.

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