Il dilemma (o addirittura trilemma) di chi a sinistra sostiene Gentiloni è basato su tre aspetti che sono difficilmente conciliabili tutti e tre:

Non farlo cadere.

Spostarlo a sinistra.

Non favorire il Pdr (ovvero non aderire alle sue politiche).

Dei tre obiettivi solo due sono raggiungibili contestualmente, perché Gentiloni, nonostante i toni opposti, è emanazione del Pdr e finora ha fatto tre cose: le banche, per coprire il ritardo del precedente; l’abolizione dei voucher, per paura di votare; i due decreti Minniti (Orlando), svolta nella svolta verso destra. Più passa il tempo, per non farlo cadere, dovranno votare tutto questo e altro ancora e quindi rinunciare alla svolta di cui parlano. In politica è il cosiddetto effetto Monti, che dopo un po’ di mesi nel 2012 montizzò tutti quanti, soprattutto i più responsabili (Berlusconi prese a poco a poco le distanze fino a farlo cadere, come ricorderete, in una remuntada tanto improbabile quanto realistica, se è vero che si fermò a pochi voti dalla coalizione di centrosinistra, pur perdendo milioni di voti). Peraltro ciò comporta un rischio: se voti tutto quanto, poi difficilmente puoi distinguertene e rimanere credibile candidandoti autonomamente.

Ora in previsione del Def il governo si propone di abbassare le tasse, cercando anche di disinnescare la bomba dell’Iva. Ciò impedisce altre soluzioni, caldeggiate appunto da sinistra.

D’altra parte per evitare di farlo cadere non possono spostarlo a sinistra, perché il Pdr e gli «alternativi popolari» potrebbero farlo cadere loro, non tanto questi ultimi, letteralmente imbullonati, quanto l’ex-premier che come si sa non vedrebbe l’ora (se solo potesse e forse potrà).

Ecco, dalla difficile soluzione di questo dilemma (o trilemma) dipenderanno molte cose. Non solo a sinistra.

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