Per prima cosa non praticarlo. Con messaggi in tutto simili a ciò che si dice di voler contestare, come abbiamo visto diffusamente nella campagna referendaria del sì. Gli slogan anti-casta, sui manifesti sei per tre prodotti dai gruppi parlamentari del Pd. Il coinvolgimento dei «bambini malati» nella riforma del Titolo V. I toni da fine del mondo, l’asteroide, ecc.

Come abbiamo visto anche recentemente, con l’ex-premier che diceva che la legislatura vuole proseguire soltanto per far maturare ai parlamentari il «vitalizio» (che è stato abolito, peraltro).

Un ‘populismo’ dall’alto, indagato da Marco Revelli in un suo bel libro, che è ancora più odioso di quello dal basso: perché il disprezzo dei deboli per i potenti, soprattutto in un mondo così «guasto», è comprensibile. La prepotenza dei potenti per i deboli, invece, molto meno.

Per sconfiggere il ‘populismo’, anche quello che alberga nei sedicenti nemici del ‘populismo’, ci vuole per prima cosa un rispetto delle istituzioni, a cominciare dal Parlamento, e la cancellazione di ogni singolo privilegio che riguarda la classe politica. Perché c’è una contraddizione in termini, etimologica, del privilegio di chi vive la «cosa pubblica». Perché il privilegio è una legge privatizzata ed è, quindi, la negazione stessa della legge e dello spirito costituzionale.

Per dimostrare entrambi i passaggi c’è una piccola grande occasione, che potrebbe portarne con sé altre, e fare in modo che la legislatura si concluda nel migliore dei modi, preparando la prossima campagna elettorale perché si parli davvero delle proposte di governo, dei progetti per il Paese, della cultura da portare al potere.

L’occasione simbolica e semplice, per tentare di rimettere le cose al loro posto. E la questione riguarda proprio la questione delle pensioni dei parlamentari e delle loro retribuzioni.

Per ridurre l’antiparlamentarismo, inteso come avversione per l’istituzione e anche per i singoli parlamentari. Per ridurre il disprezzo della classe politica, il rifiuto da parte dei cittadini, che è la questione più forte che emerge, insieme al sospetto verso ciascun politico, che manda in cortocircuito l’essenza stessa del Parlamento, luogo della rappresentanza, in cui mandare le persone che si stimano, non quelle che si disprezzano.

Contro i privilegi. Da debellare. Certo i cosiddetti «vitalizi» sono piccola cosa, ma perché non portare a termine il lavoro e adeguarli alla pensione dei comuni mortali (espressione non casuale, perché i politici sono vissuti come avidi semidei incuranti degli altri)?

Vale anche per gli stipendi, perché non si capisce per quale ragione non si debba rendicontare tutto ciò che viene attribuito al parlamentare per le sue spese d’ufficio, che nulla devono (attualmente dovrebbero) avere a che fare con la sua retribuzione. Non si capisce perché riconoscere la diaria di trasferta, diciamo così, anche a chi vive a Roma (o nelle immediate vicinanze) da generazioni. Non si capisce perché non si rispettino regole e le regole non siano più precise e definite.

Ai cittadini potremmo dire che i parlamentari percepiscono uno stipendio ridotto da un terzo alla metà dell’attuale. Senza nemmeno modificare la cifra, ma facendo in modo che le altre voci diventino integrazioni dell’indennità.

Per le pensioni e anche per gli stipendi, ci vuole una legge, per risolvere il problema, non il blitz in ufficio di presidenza o una delibera bandiera, peraltro impugnabilissima. Se il Parlamento, magari partendo dalla proposta del Pd (!), fosse in grado di affrontare queste due piccole cose, darebbe un segnale rivoluzionario.

Con Possibile abbiamo predisposto una proposta semplice, maturata anche dal lavoro di Tancredi Turco e di altri che se ne sono occupati in questi anni. Sia sulle pensioni, sia sugli stipendi. Una proposta non demagogica, non ‘populistica’.

Se volete, ci vediamo in Transatlantico. Prima di scontrarci con un iceberg. Piccolo e simbolico sopra, ma gigantesco sotto.

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