Ieri Leonardo Palmisano ha scritto un pezzo notevole per demolire in un colpo solo la propaganda, squallida e contagiosa, di chi contrappone i poveri italiani agli stranieri.

Ha ricordato una cosa semplice: che si muore di povertà, non di freddo.

E che gli stessi energumeni che si esaltano nello spiegare che i poveri italiani muoiono di freddo per colpa degli immigrati sono quelli che si sono sempre opposti a politiche di sostegno al reddito per chi è più in difficoltà.

Perché il sistema di accoglienza – che ospita circa 170mila persone, tra richiedenti asilo e titolari di protezione – costa così: 2,5 miliardi all'anno. E sono in gran parte soldi che vanno a italiani che gestiscono l'accoglienza: nel modello Sprar circa il 50% va direttamente a pagare gli stipendi degli italiani che se ne occupano. E le altre spese non escono certo dal nostro sistema economico e produttivo.

Certo, dovrebbero farla meglio e con rigore, l'accoglienza, adottando soluzioni più efficaci descritte da Stefano Catone in «Nessun Paese è un'isola», che sono talmente efficaci che sono sottoutilizzate. E anche qui non si sono viste grandi operazioni da parte di nessuno. Di chi governa a livello nazionale e di chi governa a livello locale. Perché conviene il modello più opaco, che consente di fare soldi facili, senza che nessuno controlli più di tanto, come si è visto da Mineo a Cona. È semplice: basta mandare a casa i cialtroni e i criminali e preoccuparsi della Repubblica, di come spende i soldi e gestisce i propri servizi.

E mandare in Parlamento persone che oltre a emettere urla munchiane sappiano anche fare i conti, se riescono, anche rispetto ai costi e ai benefici complessivi rispetto al Pil e alle entrate per lo Stato (si veda qui).

Mentre per i poveri, tutto sommato vige la stessa situazione da sempre, dalla social card di Tremonti, pre-crisi, senza particolari novità. Non ricordiamo battaglie spettacolari di chi si preoccupa per gli italiani che soffrono il freddo in altri momenti dell'anno, quando fanno meno notizia. Anzi, non ne fanno affatto. Il governo si sveglia con un miliardo, raggranellando poste di bilancio già in essere, quando tutti sanno che ne servono almeno 7. Dove trovarli? Per esempio nelle tasse sulla casa tolte anche ai benestanti. Per esempio negli 80 euro che vanno anche a famiglie che stanno bene (anzi, meglio), con una verifica della situazione economica e patrimoniale delle famiglie. Per esempio nei bonus a pioggia che non servono a ridurre le disuguaglianze ma costano centinaia e centinaia di milioni di euro.

E non si tratta solo di soldi: si tratta di una strategia complessiva, per cui il reddito minimo è fatto di servizi, di case da destinare a chi non ha risorse per permettersele, di asili nido e di scolarità fin dall'infanzia.

Non ricordo nei titoloni dei giornali che sbattono i mostri e i morti in prima pagina battaglie scatenate sulla retribuzione dei lavoratori, pur sapendo benissimo che un minimo 'sindacale' sarebbe l'unico antidoto allo sfruttamento e alle forme di concorrenza sleale a cui gli immigrati si prestano più degli italiani. Perché «non possiamo accoglierli tutti» ma sottopagarli sì, il maggior numero possibile. Chissà perché nessun italiano lavora a due euro all'ora nei campi. Chissà perché nelle cucine è meglio lo straniero. E chissà perché si parla molto dei neri, e pochissimo del nero. Anzi, quest'ultimo lo si giustifica, in ogni caso. Senza rendersi conto che il peso fiscale potrebbe diminuire per tutti se molti di più fossero più solerti nel mettersi a posto.

E a Minniti che torna sul vecchio adagio per cui «la sicurezza è di sinistra» ricordiamo che la sicurezza è economica, sociale, che i diritti sono l'unica corazza e la cultura l'unica arma per liberare le persone, se proprio vogliamo adottare quel linguaggio militare che oggi Pinotti, con il suo solito savoir-faire, rilancia, proponendo che sia l'esercito a controllare i Cie.

Capisco che sia meno intuitivo, dare la colpa agli altri, per non indagare su noi stessi e su come abbiamo distrutto il patto sociale che teneva unito il Paese. Non è responsabilità di questo o di quello: anche chi più si indigna ha a lungo governato.

Confondere accoglienza con povertà e con terrorismo è un modo indegno per affrontare la complessità. Si tratta di cose diverse che la politica – non l’esercito – dovrebbe saper affrontare. Con cura, rigore, buone leggi (che invece, guarda caso, non sono affatto state introdotte, in una legislatura completamente persa sotto il profilo dell’integrazione, della cittadinanza, del nesso costituzionale tra diritti e doveri).

Prepariamo #giornimigliori, con passione e competenza, proprio dagli argomenti più difficili. Tutto il resto sono chiacchiere, propaganda e infamità.

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