Consiglio, come lettura dell'estate e anche dell'autunno, il voluminoso tanto quanto appassionante libro di Martín Caparrós, pubblicato da Einaudi.

Si intitola La fame. E basta. Perché non c'è molto altro da aggiungere, quando si legge del Niger o di alcune regioni dell'India.

Il libro è lungo, ma è scritto come un romanzo, come se si trattasse di un viaggio dentro alla fame. E all'altra parola bandita dal dibattito pubblico: la povertà. Una fame e una povertà strutturali, ribadisce a ogni riga Caparrós, accompagnate dal disinteresse generale. Come se fossero un dato incontrovertibile, un fatto naturale, come se niente si potesse (e si volesse) fare.

Le conclusioni hanno sul lettore un impatto devastante: in una società in cui si parla molto di cibo (e di cucina, soprattutto), la cifra per affrontare la fame sarebbe una cifra sostenibilissima per il mondo occidentale che, alle prese con la propria crisi (economica e anche di senso), ha semplicemente smesso di parlarne, riducendo i trasferimenti destinati alla cooperazione internazionale, i programmi di intervento, le soluzioni individuate per arginare il fenomeno e per pensare a un modello diverso, che liberi finalmente le popolazioni da un bisogno fondamentale.

E pensare che la guerra alla fame sarebbe strategica anche per evitare altri tipi di guerra e migrazioni ormai ingestibili. E sarebbe un compito europeo, come pochi altri, soprattutto perché molti paesi che più la soffrono sono paesi del nostro colonialismo (che non è del tutto corretto ritenere che sia finito) e sono nostri dirimpettai, a un braccio di mare e di deserto di distanza.

Se solo si volesse. Leggete Caparrós, vi farà capire un sacco di cose. Cose che magari conoscete già ma non ci avevate mai pensato.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti