Christian Raimo lo chiama ruspismo.

Ha qualcosa di ruspante, che la politica non deve banalizzare, ma deve ritrovare, cercando però di elevare i conflitti, di non collocarli tra poveri e tra chi è povero contro chi è più povero, come succede da troppo tempo, non solo in Italia.

Non ci vuole la ruspa che apra la scatoletta di tonno e via con le metafore: ci vuole pazienza e passione, ci vuole cultura, ci vuole un programma (anche per chiudere un campo Rom e per gestire un fenomeno planetario come quello delle migrazioni).

Però, miei cari, non basta. Ci vuole qualcosa in più: ci vuole qualcosa di inedito, ci vuole un futuro. E allora ci vogliono apparecchi e strumenti diversi, come quello di cui parlammo qui. Ci vuole ricerca e sviluppo, altrimenti sotto alla ruspa ci finiamo tutti. E vale per l’economia ma anche per la società.

La ruspa tira giù, ma – anche volendo – per fare cosa? Per far pagare a tutti le tasse con un’unica aliquota? Per vagheggiare la piena occupazione (senza spiegare come)? Per chiuderci in una provincia dell’Impero? Rinunciando all’Europa per consegnarsi a Putin?

La stessa ruspa – anche volendo – con che cosa funziona? A che cosa serve? A spianare chi? Perché le ruspe sono già in azione, contro di noi. Anche a causa degli errori dei ruspisti precedenti, che hanno governato per anni. E che si apprestano a ricostruire la stessa alleanza di sempre.

La ruspa è immagine già nota: forse il problema è proprio questo. Dobbiamo cambiare le immagini, le parole e pensare presto a qualcosa di diverso, che abbia il tempo di maturare nella coscienza delle persone. Per migliorare la loro vita, non per abbattere il vicino.

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