Andrea Pertici riflette sul caso campano e su come antimafia e antifascismo non siano più costitutivi della proposta politica di chi si candida. Quasi a rinverdire il motto di Lunardi, che con la mafia si deve convivere. E forse anche con qualche fascista e qualche omofobo.

Nelle ultime ore è tornata centrale una questione che più volte è emersa nelle campagne elettorali: quella della qualità dei candidati, anzitutto dal punto di vista della loro onestà e onorabilità (non si ricorda mai abbastanza che, ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione, le funzioni pubbliche devono essere adempiute con disciplina ed onore). 

Infatti, tra le candidature – anche del Pd e di liste alleate – risulterebbero esservene di molto discutibili, soprattutto in Campania. Ciò mostra anzitutto una inadeguatezza dei nostri strumenti di prevenzione, anche dopo l’entrata in vigore della legge Severino, che infatti la Commissione europea, nel suo rapporto sulla corruzione del febbraio 2014, riconosce come un passo avanti ancora, però, insufficiente.
Rispetto a questo, alcuni analisti politici mantengono una posizione – certamente non nuova nel nostro Paese – secondo cui la presenza in lista di candidati discutibili non importa, non pesa e comunque è inevitabile.
In questo senso va certamente un’intervista rilasciata dal giornalista Velardi a Il Mattino dell’8 maggio 2015, secondo il quale, anche se nelle liste campane vi fossero personaggi compromessi, questo non avrebbe troppa importanza perché, in ogni caso, nessuno dei due principali contendenti alla guida della Regione (Caldoro e De Luca) darebbe loro spazio dopo le elezioni.

La domanda sorge spontanea: perché allora darlo loro prima? Tra l’altro, pur essendo certamente più ingenui dell’intervistato, ci sembra comunque un po’ strano che persone eventualmente compromesse con la criminalità si candidino giusto per avere il nome stampato sulle liste, non intendendo poi – ci mancherebbe! – influire sull’amministrazione dell’ente in questione. 

D’altronde, perfino l’ingenuo lettore ha difficoltà a farsi persuadere che chi non è riuscito a impedire la candidatura riesca poi – tanto più all’esito di una prestazione elettorale magari brillante in termini di preferenze – a evitare qualunque condizionamento sull’amministrazione da parte delle stesse persone.
Ma dalla stessa intervista esce un altro messaggio, ancora più inquietante e discutibile e che ultimamente ha portato a giustificare qualunque scelta politica anche a livello nazionale: l’importante è vincere, a prescindere da come la vittoria viene ottenuta («Caldoro e De Luca […] capiscono che devono vincere e lo fanno anche in modo discutibile»).

Seguivamo, in effetti, tutt’altro schema, pensando che le elezioni si dovessero vincere persuadendo gli elettori della bontà delle proprie idee e dei propri programmi, ma questo apparirà all’intervistato il pensiero di Alice in wonderland.

D’altronde – prosegue l’intervista – «sono elezioni, non lezioni di etica», che è un po’ la perifrasi de «la rivoluzione non è un pranzo di gala» e aforismi del genere, indicando proprio quell’atteggiamento che ha legittimato nei decenni qualunque cosa, perché – del resto – l’importante è vincere e “turandosi il naso” si può evitare di sentire il fetore.
Che questo sia il motivo – o almeno uno dei principali motivi – per cui gli italiani hanno smesso di votare non viene valutato.

In fondo – proseguendo nel ragionamento – se diminuendo gli elettori si vince non va bene lo stesso? Non è forse questo che si è detto all’indomani delle elezioni europee e di quelle regionali di Emilia-Romagna e Calabria? Non ci saranno mica dei guastafeste che a fronte della vittoria ci ricordano che ha votato meno del 40% degli aventi diritto?
E poi – e questo è un altro punto da sottolineare – «la politica è lo specchio della società. Se in una parte della società c’è Gomorra inevitabilmente e malaguratamente finirà nella politica». Anzitutto, quindi, si abbandona qualunque ambizione della politica di migliorare la società. Deve semplicemente seguire. E può rappresentare – parrebbe quasi di capire (ma certamente sbagliamo) – anche la criminalità, visto che la criminalità c’è.
L’osservazione getta l’ingenuo lettore nello sconforto, ma forse – con le ultime forze residue – questi potrebbe ancora chiedere: sicuri che tutti gli aspetti della società siano altrettanto fedelmente rappresentati? Che so, gli operai, gli insegnanti, i lavoratori… sono presenti in modo tale da dare una altrettanto fedele rappresentazione della società?
Ma qui interviene ancora pronto l’esperto e disincantato intervistato «chi ha un lavoro, una professione, uno stipendio fisso e ha idee e potenzialità, la tanto decantata società civile insomma, si tiene lontana da questo mondo, non si lancia nella mischia, sprecando tempo e denaro».

Se fosse davvero così la politica semplicemente non esisterebbe più sarebbe soltanto una House of cards… Per fortuna, con sempre maggiori difficoltà, c’è anche chi si impegna, magari senza far neppure parte della classe politica (cioè senza essere deputato, consigliere, assessore, ecc.), sacrificando anche il proprio lavoro, la propria professione, i propri affetti, per cercare di migliorare la società, mettendo a disposizione progetti, proposte e idee. Ma – secondo le indicazioni che emergono da questa intervista – si tratta di ingenui che sprecano tempo e denaro, ai quali sembra destinato, però, un consiglio chiaro: unirsi a quella maggioranza che non va neppure più a votare.
Così, però si distruggono la politica e la società.

Di entrambe abbiamo un’altra idea (che tra l’altro, le tiene strettamente unite). Che offre un’alternativa a questo fosco quadro. Una possibilità.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti