Quelle che dovevano essere le riforme condivise, figlie di larghissime intese, che godevano di una grande maggioranza determinata dal premio incostituzionale e dall’alleanza con le destre, sono andate avanti fin dall’inizio tra strappi e forzature.

Colpa anzitutto dei troppi paletti che hanno impedito da subito la discussione. Del contenuto scritto – o anzi no – al Nazareno, ricorderete, si poteva discutere soltanto nello spazio su cui non erano piantati questi “paletti”, che praticamente lasciavano libera solo la punteggiatura.

Le riforme sono risultate, in sostanza, subito imposte. Lo si è visto nel mese di marzo del 2013 quando la Camera approvò la prima versione dell’Italicum respingendo qualunque modifica: anche quelle più di buon senso e più riformiste come le primarie (che dovrebbero essere care a un Governo che fonda su quelle la sua legittimazione) e la parità di genere: perdendo da subito il voto di alcuni parlamentari del Pd (tra cui il vostro affezionatissimo).

Nonostante l’approvazione alla Camera, l’Italicum non piaceva granché a nessuno. E infatti è rimasto fermo per circa nove mesi, dopo i quali è stato modificato dal Senato, a seguito dell’approvazione di un emendamento molto discusso e discutibile, nel contenuto e nella procedura di presentazione del cosiddetto super canguro. Essendo tutto ammesso – purché venga dalla maggioranza – ecco quindi che il nuovo testo è stato approvato a dispetto del dissenso di ben ventiquattro senatori del Pd (circa un quarto del gruppo) e del voto favorevole – ma controvoglia – di Forza Italia, interessata a partecipare di lì a poco all’elezione del Presidente della Repubblica (era la fase del Silvio stai sereno).

Intanto le riforme costituzionali procedevano con difficoltà e forzature ancora più forti. A partire dal loro avvio in Commissione affari costituzionali del Senato quando fu adottato come testo base il disegno di legge governativo solo accompagnandolo con un ordine del giorno Calderoli che, in sostanza, andava in direzione diversa rispetto a un Senato di nominati dai Consigli regionali.

Le tensioni emerse già in quella fase furono aggravate dalla rimozione dalla commissione di alcuni senatori (Chiti e Mineo del Pd e Mauro di Per l’Italia) per il solo fatto di avere espresso pubblicamente critiche nei confronti di alcuni aspetti della proposta governativa. A queste forzature in Commissione seguirono quelle in aula dove il contingentamento dei tempi – davvero inadeguato a una riforma costituzionale di tale ampiezza – impedì di fatto qualunque discussione reale sugli articoli. Tanto che non esisterebbe – se il testo fosse approvato – nulla di neppure paragonabile ai dibattiti della Costituente spesso fondamentali per comprendere il significato di quello che c’è scritto.

Ma, non ritenendo sufficiente il contingentamento, al fine di rispettare la solita data immaginaria – o anzi immaginata dal Governo – senza nessun senso o utilità fu utilizzata una modalità di votazione che consentiva di mettere in votazione alcuni emendamenti in modo da saltarne molti altri: il cosiddetto canguro. Un sistema che sarebbe poi stato utilizzato all’ennesima potenza: tanto da avere fatto parlare di super canguro.

Dopo qualche mese di stallo (perché la fretta arriva sempre tutta insieme quando si avvia la discussione, mentre tra una discussione e l’altra possono passare settimane e mesi), la riforma costituzionale arriva alla Camera dove ovviamente si prevede subito il contingentamento. Ma anche in questo caso non basta e arriva la seduta fiume: una procedura maturata solo in via di prassi (in quasi totale assenza di riferimenti regolamentari) e solo per la legislazione ordinaria consistente in una non stop totale mai utilizzata su leggi costituzionali.

A questo punto che poteva succedere? Che le opposizioni abbandonassero l’aula. Ed ecco così l’Aventino, secondo tradizione – di solito poco raccomandabile – ignorato dalla maggioranza, con il voto finale e l’eccezione di quattro parlamentari (Boccia, Fassina, Pastorino e Civati).

Ed eccoci all’ultimo capitolo: l’Italicum. Sul quale si sono concentrate tutte le precedenti forzature, a partire dalla sostituzione in blocco dei “dissidenti” (cioè parlamentari che ritengono di esercitare il loro mandato liberamente secondo quanto prescrive l’articolo 67 della Costituzione) in Commissione, dove non c’è stato dibattito. Per poi proseguire a colpi di fiducia, negando il dibattito anche in aula.

Come dire: il Governo è l’Italicum. E viceversa.

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