La ministra delle riforme risponde, con il consueto tono conciliante (a proposito di chi è divisivo), che sulle riforme non ci si può fermare neppure per i prossimi dieci giorni, in attesa dell’elezione del nuovo Presidente. Il premier rilancia: bisogna lavorare sempre, senza considerare che per lavorare bene il clima dovrebbe essere molto diverso.

Il loro solito argomento è che le riforme sono ferme da vent’anni.

Si tratta di un argomento tanto poco nuovo quanto del tutto inesatto. Negli ultimi vent’anni (dal 1994-1995, diciamo) di riforme istituzionali ne sono state fatte diverse.

Segnalo le principali:
– nel 2001, la riforma costituzionale del titolo V. Quella che ora tutti rinnegano (anche molti degli attuali parlamentari già in carica all’epoca e che la votarono con la stessa protervia con cui intendono votare le riforme in corso);
– nel 2005, la riforma della legge elettorale. Cioè la approvazione del Porcellum. Quello dichiarato incostituzionale;
– nel 2005, la riforma costituzionale per rafforzare il Governo a danno del Parlamento. Proprio come nella riforma in corso di discussione. In quel caso essendo incappata nella sonora bocciatura popolare con il referendum del 2006.

A queste se ne potrebbero aggiungere altre, mai volte ad aumentare il potere di decisione del vero sovrano, il popolo (#appartienealpopolo). Ci mancherebbe, vero? Ad esempio, quella per costituzionalizzare il pareggio di bilancio (andando oltre le stesse richieste della Ue), pure rimasta senza padri e madri.

Ecco, pensiamoci meglio quando si sostiene la necessità delle riforme. Perché effettivamente ne servirebbero molte. Su quella del conflitto d’interessi il Governo ha nulla da dire? Ma non ne servono altre fatte in fretta e molto male. Di quelle ne abbiamo già avute abbastanza. Appunto.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti