Pietro Grasso dice oggi in una lunga intervista concessa a Repubblica che non si deve abolire il Senato.

Per la verità, nemmeno la proposta del governo va nella direzione dell'abolizione del Senato, ma in una sua riformulazione.

Prima considerazione: meglio non parlare di abolizione se non è un'abolizione (come già per finanziamento ai partiti e province).

Seconda considerazione: bisogna sempre cercare di distinguere, come insegnavano gli antichi, la democrazia dalla demagogia. Perché se il punto è semplicemente di non pagare i senatori, e sceglierli tra amministratori e politici che già stanno facendo altro, allora il Senato sarà debolissimo. E comunque costoso, perché le voci di spesa più consistenti delle Camere sono rappresentate dai costi di gestione. Quanto alle indennità, anche se abolite, prevederanno dei rimborsi. E se i rimborsi non se li accollerà il Senato, se li accolleranno Comuni e Regioni che invieranno i propri delegati. A meno di non pensare che un sindaco devolva tutto il proprio stipendio per andare a Roma. Che non mi pare né giusto, né sensato. E va detto che attualmente i sindaci, anche non senatori, se vanno a Roma, sono rimborsati dal loro Comune. Se si vuole fare qualcosa, come abbiamo spiegato tante volte, si possono dimezzare gli stipendi di deputati e senatori, domani mattina, e raggiungere l'obiettivo che il governo si è posto senza mortificare la rappresentanza.

Terza considerazione: quando, in occasione della prima riunione della direzione, dissi che o si aboliva il Senato o era il caso di evitare pasticci, proprio a questo mi riferivo. Che se il Senato rimane, è il caso che abbia funzioni 'alte' e compiti specifici. E che i suoi membri non siano tutti eletti indirettamente, ma (se non tutti, in larga parte) direttamente dai cittadini. Non si capisce perché i cittadini non dovrebbero votare direttamente: o, meglio, si capisce, perché ormai i cittadini non votano più. Tutto diventa di secondo livello e la stessa legge elettorale approvata dalla Camera consente ai politici (ai capi, in particolare) di scegliere molti degli eletti, grazie al sistema delle liste bloccate e delle candidature plurime.

Per questo motivo, abbiamo presentato una proposta alla Camera e una sarà depositata nelle prossime ore al Senato, da senatori del Pd e di altri gruppi. Proposte 'gemelle' che vanno nella stessa direzione.

Come ha sostenuto Walter Tocci nella riunione dei gruppi parlamentari del Pd (alla presenza del premier) di mercoledì scorso, non è ammessa nessuna forzatura governativa sulla riforma costituzionale. Nessun aut aut, nessun «prendere o lasciare». Perché è giusto che emerga una soluzione parlamentare e che vi sia il massimo consenso delle forze politiche rappresentate. E perché l'articolo 67 della Costituzione è da osservare sempre, ma in particolare quando si tratta della riforma della Costituzione stessa. Quanto alla particolarità della situazione attuale, la cautela è obbligatoria per un Parlamento eletto con un sistema elettorale in contrasto con la Costituzione, come sappiamo.

A proposito del consenso delle forze politiche, leggendo i giornali, si scopre che, oltre a una consistente componente dei senatori del Pd, anche altre forze (penso a Ncd e a quanto pare la stessa Forza Italia), immaginano un Senato elettivo, con un'eventuale quota di senatori eletti dalle Regioni, come previsto dalla proposta a mia firma.

Per superare il bicameralismo perfetto e averne uno migliore, non pasticciato, né demagogico. Una Camera politica, da una parte, e una Camera 'alta', di garanzia e di coesione territoriale. Camere autorevoli, composte da un numero molto minore di rappresentanti, con uno stipendio che si può dimezzare anche prima delle riforme costituzionali.

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