Come sapete, mi sto dedicando al tema della spending review, che d'ora in poi chiameremo revisione della spesa pubblica.

Ho segnalato giorni fa quella che dovrebbe essere la principale voce di questa revisione, quella della criminalità economica, che permane in una sorta di zona d'ombra (chissà come mai).

Ora vorrei introdurre un altro passaggio, una sorta di revisione della revisione stessa: l'introduzione di modalità diverse nella revisione della spesa pubblica.

Prendete l'esempio degli interventi sull'edilizia scolastica: va benissimo destinare fondi a questi obiettivi, era già un impegno del precedente governo ed è giusto insistere perché gli stanziamenti siano non solo sbloccati, ma rafforzati con l'impiego di altre risorse.

Ciò che mi domando è se non si possano provare strade diverse per raggiungere gli stessi obiettivi o una loro parte significativa. Penso a un ruolo di garanzia, per lo Stato, e non solo di spesa diretta.

E penso a un mio vecchio pallino, quello delle Esco e di una questione che dovrebbe essere immediatamente assunta, quella della definizione di un quadro normativo chiaro che consenta l'accesso a quello che con linguaggio tecnico si definisce «finanziamento tramite terzi». Insieme si può creare un fondo nazionale di garanzia per questo tipo di finanziamento.

La ricetta è semplice: invece di spendere, lo Stato garantisce, sulla base di protocolli e di certificazioni di qualità, ponendosi al fianco del sistema bancario (stimolandone l'iniziativa, particolarmente timida in questo campo) e del sistema della libera impresa. E se spende direttamente miliardi di euro per interventi di riqualificazione delle strutture pubbliche (a cominciare dalle scuole), per una cifra altrettanto consistente può scegliere una strada molto più intelligente e remunerativa: affidarsi a operatori privati con logiche trasparenti e concorrenziali, che intervengano sugli edifici, ristrutturandoli e riducendone il dispendio energetico, ridimensionando i costi di gestione oggi e per il futuro soprattutto. Un'operazione compiuta sulla base di un lavoro di qualità e di grande ricaduta occupazionale (ingegneri e artigiani, in un settore particolarmente in difficoltà come quello dell'edilizia), che si ripaga con il lavoro stesso e una presenza, rigorosa e discreta, dello Stato, che potrà trarne diretto giovamento (per le proprie strutture) e far crescere un settore di grandi potenzialità per gli anni a venire.

In questo caso la revisione della spesa non porterebbe a una perdita di lavoro, ma alla sua moltiplicazione. Interverrebbe per il futuro, quello dei concittadini, ma anche quello delle casse dello Stato, perché sono interventi che portano un beneficio notevole, in prospettiva, per la riduzione dei consumi e il contrasto agli sprechi.

L'Italia potrebbe essere una grande Esco, che fa pensare, con quell'acronimo, che potremmo anche uscire dai guai, anche nei termini di dipendenza da altri paesi, più ricchi e forniti di noi di materie prime.

Una revisione della revisione che darebbe un senso profondo alla parola cambiamento di cui stiamo tutti abusando, senza renderci conto che il risparmio e la gestione oculata delle risorse è una delle nostre priorità, nel paese degli sprechi (in cui a raccontarli ci vorrebbe una nuova disciplina, la sprecologia).

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